Mi è tornata in mente una frase di un mio amico, di qualche anno più grande di me, con il quale ho avuto il piacere di suonare qualche volta da ragazzo: “quelli che dicono di suonare per se stessi, lo dicono perché non sono capaci”.
Pensavo a tutti i manager che ho incontrato nel corso della mia carriera, sia in Italia che all’estero, con responsabilità e incarichi importanti.
È affascinante conoscere donne e uomini che hanno accumulato molte esperienze, intelligenti, preparati. Che detengono potere e lo esercitano. Si impara sempre qualcosa.
Vi sono, per fortuna, anzi per merito, numerosi casi di aziende di successo in tutto il mondo, dalle piccole alle blasonate multinazionali, i cui manager mantengono un atteggiamento umile, attento, pronto ad ascoltare opinioni, idee e suggerimenti che arrivano dall’esterno.
Persone consapevoli che il loro lavoro rappresenti una sfida continua con il mercato, con concorrenti intelligenti e capaci di presentarsi con buoni prodotti e servizi e idee valide.
Questi manager capiscono esattamente che il loro lavoro consiste nel prendere decisioni. Talvolta difficili, rischiose. Ma le devono prendere.
E si rendono conto che, se esercitato con diligenza, trasparenza, impegno e coraggio, proprio questo processo decisionale sta alla base del rapporto di fiducia fra i dipendenti di un’azienda e chi li governa, fra l’azienda e i suoi fornitori e clienti, fra azienda e investitori sul mercato.
Gli errori si possono sempre commettere e ci sono sempre sorprese negative dietro l’angolo, ma essere leader significa anche saper affrontare a viso aperto le situazioni critiche, senza nascondere la verità agli altri.
Altrimenti la fiducia e il senso di coesione per raggiungere un obiettivo comune cominciano a venire meno.
In tanti anni di esperienza, posso affermare che la capacità di un management di elaborare una strategia valida e di eseguirla senza sbavature, e la capacità di interpretare i segnali che provengono dalla realtà circostante per apportare le modifiche che si rendano opportune lungo il percorso, siano il più decisivo fattore di successo di un’azienda.
Incidentalmente, noto che questa considerazione vale in tutti i contesti: nella politica, in famiglia.
I genitori, ad esempio, devono saper esercitare una leadership che i figli non mettano in discussione. Con autorevolezza e dolcezza.
I figli, anche piccoli, capiscono che i genitori possono sbagliare, come tutti, ma devono avere fiducia nei loro comportamenti e nelle loro decisioni.
E la fiducia si conquista con l’impegno e con l’esempio, parlando e spiegando, facendo cose insieme, ma anche ascoltando molto i segnali che i bambini ci mandano.
Senza per questo sottostare ai loro capricci, senza diventare troppo “amici”, ma per assicurarci che percepiscano in ogni momento che, anche se alcune situazioni sono complicate da comprendere, i loro genitori cercheranno sempre di agire per il meglio, per il loro bene.
Purtroppo, a volte, il morbo dell’arroganza e dell’autoreferenzialità infesta i comportamenti e gli atteggiamenti di coloro i quali prendono le decisioni.
Così, ci sono manager che non si preoccupano più del mercato e dell’economia come all’inizio della loro carriera, perché, una volta raggiunto il successo, proprio in virtù di esso si ritengono infallibili e invulnerabili.
Cominciano ad ignorare concorrenti, fornitori e clienti che non solo meritano rispetto, ma che fornirebbero segnali importantissimi per non perdere la rotta.
E ai primi segni di difficoltà e cedimento, questi personaggi si trincerano dietro una cortina di ferro e non comunicano più apertamente con chi li circonda.
Richiedono una fiducia cieca nella loro capacità di decidere per il meglio. Condividono opinioni e informazioni con il loro “circolo di pari” in altre società anziché con chi, giorno per giorno, li ha aiutati a costruire, con fatica e soddisfazione, una storia di successo.
Poco alla volta, inevitabilmente, si perdono fiducia e rispetto. E leadership.
Questi manager smarriscono la propria identità, alla lettera, poiché non prendono più alcuna decisione utile a gestire l’organizzazione per cui lavorano.
Anzi, cercano in ogni modo di sottrarsi alla responsabilità di decidere per non esporsi alla possibilità di commettere errori.
Perché il rischio di danneggiare la propria reputazione con decisioni sbagliate, ma assunte in modo trasparente e sulla base di motivazioni e analisi convincenti, sembra troppo alto.
Diventano manager di se stessi e per se stessi, provano a sviluppare una carriera di visibilità e difesa della posizione più che una fondata sul fare, sul creare. Inutili, talvolta addirittura dannosi.
Non credo sia un caso se, in una situazione economica e politica come quella che stiamo ancora attraversando, leggiamo spesso di buonuscite faraoniche e paracadute dorati e raramente di progetti innovativi e coraggiosi di riforme e di impresa, per sfruttare la crisi come un’occasione per correggere errori ed eccessi del passato e creare un futuro che poggi su basi economicamente e socialmente più solide.
Parlo ogni giorno con persone che lavorano in aziende grandi e piccole in tutto il mondo e che prendono decisioni a vari livelli.
Esiste un senso di malessere diffuso tra coloro che non si trovano ai vertici ma quotidianamente mandano avanti un’azienda. Un malessere che nasce dalla mancanza di comunicazione, da un lato, ma da un altro, forse più profondamente, dal fatto che ci si concentri spasmodicamente sul presente senza occuparsi del futuro.
Dimenticando che quest’ultimo non è la sequenza o la somma di tanti brevi periodi, non è una navigazione a vista.
Paradossalmente, è la consapevolezza dello slancio creativo che serve per progettare un futuro, con i suoi rischi e le sue opportunità, a creare un timore tanto grande da cannibalizzarlo.
La voglia di agire e impegnarsi per costruire una prospettiva migliore sono presenti in molte persone.
I problemi del presente dovrebbero dare ai manager e ai leader di oggi la spinta per accogliere idee e sfide nuove senza resistenze, e, auspicabilmente, aprire la strada ad una nuova generazione di leader di domani.
Mi chiedo quanto tempo occorrerà ancora e quante barriere andranno abbattute affinché ciò accada.