domenica 28 novembre 2010

Lieto fine cercasi

Merenda. “Ho un biscotto a forma di cappello di Babbo Natale!”, dice Sol, quasi sei anni. “Ma no, è solo un pezzo di un biscotto a forma di campana rotto”, ribatte Re, ridendo, col suo realismo di bambino grande di otto anni. Questa conversazione è buffa, non ha niente di amaro, mostra solo come, crescendo, perdiamo quell’ingenuità che stimola la fantasia e ci fa vedere cose belle ovunque intorno a noi.
Oggi ho sentito su Sky l’intervista esclusiva ad una ragazza di 28 anni, protagonista delle inchieste di questi giorni su feste e festini, madre di un bimbo piccolo, separata dal marito, da cui la madre, dopo che è scoppiato il caso, ha preso le distanze. Ha dichiarato che fosse bello, anche emozionante, la prima volta, essere lì, che uno dei motivi che l’hanno spinta a tornare sia stato ricevere 5000 euro e soprattutto, quando l’intervistatrice ha rivolto la fatidica domanda se rifarebbe tutto, ha risposto di sì, “forse solo in modo un po’ diverso”. Le differenze rispetto a come sono andati i fatti sono irrilevanti.
L’amarezza è stata tanta, inutile dirlo. Sentire una ragazza di 28 anni dire certe cose fa davvero male, e fa male pensare che siamo un Paese in cui molti accettano come un fatto normale situazioni del genere.
Si bemolle spesso ride (o sbuffa) della mia passione per i gialli e i polizieschi, per il numero di volte in cui ho riletto molti libri di Agatha Christie, o rivisto le puntate di Ellery Queen o del tenente Colombo.
Eppure, di quel senso di ordine, di quiete dopo la tempesta che si prova quando il colpevole viene invariabilmente assicurato alla giustizia, sento proprio un gran bisogno.
Leggendo o guardando i film, a volte mi è sembrato di trovare una frase che suonasse un po’ stonata, ma non mi è mai passato per la mente di indignarmi nel sentire Colombo dire che talvolta gli assassini che ha incontrato fossero persone molto simpatiche e brillanti, o nel sentire Poirot dire ad un politico che aveva commesso un omicidio “lei difende tutte le idee che mi sono care”. Forse perché tutti questi investigatori erano dotati di un’etica professionale e prima ancora umana che non veniva scalfita da simpatie, antipatie, convenienze e consuetudini.
Tutto il contrario di adesso, che abbiamo ragazzi cui viene proposta l’idea che la provenienza del denaro e della fama non abbiano importanza, basta ottenerli, e davanti a cui le oscenità e le immoralità sono ostentate con orgoglio come successi, e bisogna lottare per evitare che in molti assimilino questo messaggio. Il fine giustifica i mezzi e l’egoismo è l’unico metro che molti usano. Senza capire (o forse sì) che così ci si lascia trasformare in mezzi. E il fine, quale e come sarà?

sabato 13 novembre 2010

Commutativi

L’altra sera in televisione ho ascoltato i quattro candidati alle primarie di centrosinistra per scegliere il candidato sindaco di Milano.
Ho sentito parlare poco di un programma concreto per affrontare le tante questioni aperte dai problemi, anche gravi, che affliggono la mia città: scuola, qualità della vita, mobilità, lavoro, casa, inquinamento, a partire dal basso (l’unico sistema che funziona).
Non che sia favorevole alla retorica del fare. Senza progetti strutturati, che innestino le azioni su valori umani e civili solidi e condivisi, non va bene. La cosa strana è che, di fronte all’esperienza di centrodestra di questi anni, il centrosinistra si presenti con quattro candidati-immagine di forte presenza scenica, e questo a qualcuno sembra già un successo, ma le strutture alle spalle di alcuni di loro sono quelle di sempre. Come dire, cambia l’ordine dei fattori, ma non necessariamente il risultato. C’è un documento programmatico, ma mi sembra manchi ancora un manifesto di valori su cui tutto il centrosinistra possa convergere ed entro cui ognuno dei quattro possa differenziarsi in modo non conflittuale, enfatizzando le sue proposte specifiche.
Non sorprendentemente, forse, l’unico candidato con un’idea credibile di lungo termine, cioè quella di formare attivamente una classe politica di giovani, è quello più anziano, che ha anche un curriculum “civico” di tutto rispetto.
E per le primarie, che servono a scegliere i candidati di partiti che ricevono vagonate di finanziamenti con denaro pubblico, a sfregio di un referendum che lo voleva abolito, e che potrebbero essere tranquillamente autofinanziate dai nostri parlamentari, ci chiedono pure di pagare due euro. Non è per la cifra, è il principio. Mille volte meglio, per me, mandare un sms per aiutare gli alluvionati del Veneto. Aver saputo che in molte sedi di voto ci saranno cartelli che invitano a mandare gli sms di solidarietà al Veneto, mi suona quasi come una presa in giro: ma perché non possono fare il bel gesto di dire: invece di darli a noi, i due euro usateli per quello scopo?
In ogni caso, la forza della politica è che ci siano ancora tante persone che parlano di queste situazioni come “del proprio partito”.
Io sono sempre stato non-partisan, ma con idee politiche ben precise, e non sono mai riuscito a riconoscermi in alcun partito italiano. La voglia di impegnarmi e l’interesse per la realtà del mio Paese, però, non sono mai diminuiti, anzi. Perché forse la politica è, o dovrebbe essere, un’altra cosa rispetto a quello che vediamo, e ci devono essere modi per farlo capire migliori dell’astensionismo, che non condivido. C’è la necessità che qualcuno dalla società civile si metta al lavoro in politica, ma solo per un tempo limitato, prima di essere fagocitato e soprattutto digerito dal meccanismo, perciò reso innocuo come agente di cambiamento. E bisogna trovare anche persone che rimangano fuori, attente a quel che succede, a dare idee, a raccontare le cose come stanno, a farci tenere gli occhi fissi sugli obiettivi. Anzi, forse servono soprattutto queste.

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Online dal 10 aprile 2009