mercoledì 29 aprile 2009

Fa bene alla salute

Recentemente ho trascorso alcuni giorni ad un corso organizzato dalla mia azienda fuori sede.

L’aspetto migliore di queste iniziative è che sono occasioni che permettono di conoscere colleghi brillanti di altre aree della società, cosa che nella vita lavorativa quotidiana difficilmente accade.

Questa volta, però, partivo un po’ prevenuto, sia per i contenuti sia perché a causa del corso ho dovuto costringere tutta la famiglia ad una riprogrammazione e riduzione delle vacanze pasquali.
In più, mi sono giocato metà del fine settimana, fatto piuttosto seccante dato che il tempo da trascorrere con moglie e bambini è sempre misurato.

Siccome mi sentivo un po’ in colpa per il tempo sottratto alle vacanze insieme, l’ultimo giorno di corso mi sono preso la libertà di saltare il pranzo conclusivo.
Il dispiacere di non potermi congedare con calma dagli altri partecipanti è stato più che compensato dalla soddisfazione di poter dedicare un’insperata ora in più alla famiglia.

La decisione si è rivelata particolarmente felice. Alcuni colleghi, infatti, si sono sentiti male per il resto del fine settimana e il lunedì seguente, sospettano a causa del cibo.

Posso decisamente affermare che l’amore per la famiglia fa bene alla salute!

domenica 26 aprile 2009

C’è design e design

Domani sarà il 27 aprile. Ne sono molto contento.

Ma non perché, come molti lavoratori, riceverò il mio stipendio.

Perché domani si conclude il Salone del Design.

Ho scelto con convinzione di rimanere a vivere a Milano, perché mi piace questa città e, pur non essendo in grado di cogliere da esperto tutte le bellezze dell’architettura e del design, sono felice che l’Italia e Milano siano il punto di riferimento mondiale per eventi così importanti.

Da economista, poi, non posso non apprezzare il beneficio che il Paese ottiene da una adeguata valorizzazione del made in Italy.

E qui cominciano i problemi.

Eh sì. Due ordini di problemi.

Il primo: ma chi beneficia davvero da tutto questo? Forse che i residenti a Milano trarranno qualche vantaggio concreto nella loro vita quotidiana dall’evento? Che so, mezzi pubblici più efficienti e meno costosi? O una gestione del traffico con isole pedonali permanenti e ben organizzate tutto l’anno? O scuole e servizi migliori per i loro figli?

Il secondo: in Inglese, to design significa progettare. Non mi pare che l’organizzazione dell’evento sia ben progettata. Anzi. Passare in questi giorni nelle vie che ospitano il Fuorisalone è un’esperienza istruttiva.

Si incontrano poche persone con l’aria di chi frequenta il Salone per motivi professionali, ma molti giovani in sandali e canottiera che bevono birra lasciando in giro le loro tracce di lattine e bottiglie.

Si incontrano venditori ambulanti improvvisati di birra di marche sconosciute a prezzi esorbitanti, ai quali ovviamente nessuno chiede di mostrare autorizzazioni o permessi.

Si incontrano intrattenitori che fanno giocare la gente nelle costruzioni - di design, ovviamente – che ingombrano i marciapiedi, i quali al ritmo di musica delle loro radio-CD portate in giro in stile anni ’80, distribuiscono ai vincitori buoni per consumazioni nei locali vicini.

Si incontrano automobilisti e residenti spaesati e irritati, perché le informazioni sulla zona a traffico limitato e l’isola pedonale non sono state comunicate in tempo e diffusamente.

Si incontra Radio Deejay, che, non paga di trasmettere nell’etere live dal Fuorisalone, ha piazzato sul tetto del suo gazebo delle potentissime casse acustiche che rendono impossibile anche solo una conversazione telefonica nelle abitazioni circostanti.

Aspetto i dati ufficiali che sicuramente leggeremo nei prossimi giorni, ma la mia impressione è che l’affluenza agli eventi di Milano sia stata massiccia e ben superiore agli anni passati. Bene. Forse però sarebbe stato meglio non fare sembrare il salone del design un enorme mercato frequentato da studenti in gita scolastica in libera uscita serale.

E, guardando con un certo timore all’Expo 2015, mi domando: che cosa sapranno inventarsi, gli organizzatori di questi eventi, per non far rimpiangere a nessuno di avere assegnato l’Expo a Milano e non a Smirne?

lunedì 20 aprile 2009

Piccola donna cresce

Dopo aver perso la testa per i miei due maschietti, non credevo che l'arrivo di una bambina potesse essere per me tanto diverso.

Mi sbagliavo.

Ma l'errore non si è manifestato subito. Ci è voluto del tempo, il tempo necessario a una bambina di pochi mesi a sviluppare, e a un papà lento a comprendere, alcune caratteristiche tutte femminili.

I primi segnali sono arrivati molto in fretta. Sguardi maliziosi, moine e un grande interesse per tutto ciò che indossa.

Ma da qualche tempo, la mia piccola Mi è una vera donna.
A meno di due anni ha già un'autentica passione per il suo paio di scarpe preferito: delle scarpine alte di vernice color cipria (devo ammettere che sono davvero molto carine).
Sono il primo oggetto che va a cercare quando capisce che si deve uscire e a volte, anche se non è il momento di indossarle, le prende in mano e le osserva con devozione, sorridendo soddisfatta, oppure le fa camminare con le mani con grande divertimento.
Recentemente l'ho osservata sul passeggino in un momento di noia mentre noi grandi eravamo fermi a chiacchierare. Ogni segno di impazienza e malumore scompariva non appena sollevava i piedini e rimirava le sue scarpine.

Travolto da un'ondata di tenerezza, comincio a capire da che cosa gli altri papà di femminucce mi mettessero in guardia!

lunedì 13 aprile 2009

Quale papà vorrei essere

Ho appena cominciato a frequentare blog di genitori e mi capita di incontrare spunti interessanti. Tra questi un post di Marilde.

Mi sembra che la concezione del ruolo del padre oggi oscilli fra l’assenza giustificata, una complicità amicale e un meno popolare autoritarismo all’antica.

Sono il papà di tre bambini e ho la grandissima fortuna di avere una moglie che ha scelto di fare la mamma a tempo pieno (e che mamma!). Mi fido ciecamente del lavoro educativo di mia moglie, ma è vero che un padre serve. Me lo “chiede” lei, lo desidero io, i bambini ne hanno bisogno.

Il mio tentativo è quello di accompagnare i miei figli nelle fasi della loro vita più che posso (e non mi pare mai abbastanza). Per questo, mia moglie ed io abbiamo “rinunciato” a una vita privata esterna e a molti svaghi.
Compiti, giochi, libretti e festine hanno sostituito cene fuori, aperitivi, cinema, serate con gli amici. Col tempo, mi sto riappropriando di spazi e tempi per coltivare i miei interessi in casa, come la lettura e la musica, e i bambini sono incuriositi.

Per me il “prezzo” da pagare per stare con i miei figli è veramente basso se confrontato con la gioia che ne ricavo come uomo e come genitore e, spero, con il beneficio che ottengono loro. Spesso, invece, trovo molto faticoso fare fronte alla pressione sociale che privilegerebbe l’individualismo rispetto alla vita familiare.

Pensandoci bene, ho la sensazione che la difficoltà dei padri a connotare il proprio ruolo sia il retaggio di una cultura che consentiva o richiedeva socialmente una grande distanza affettiva nel quotidiano fra padri e figli. La distanza riduce la conoscenza reciproca e l’intimità e porta ad atteggiamenti eccessivi, in un senso o nell’altro.

Mi capita continuamente di domandarmi se sia stato troppo tenero o troppo severo, è giusto che un genitore abbia dei dubbi e sia esigente con se stesso.
Ma penso che siamo abbastanza cresciuti e informati per evitare gli errori del passato e trovare giustificazioni di comodo.

Ogni scelta è lecita, come genitori, basta che ce ne assumiamo la responsabilità. È una sfida impegnativa, ma secondo me ne vale la pena.

domenica 12 aprile 2009

Preludio e fuga - Rispetto

Questi non sono giorni adatti per lasciarsi andare a sfoghi su piccinerie. Ciò a cui purtroppo stiamo assistendo in Abruzzo impone di rimettere in ordine le priorità e trattenere le lamentele. Ci mancherebbe altro. Dobbiamo tutti prendere esempio dalla dignità delle vittime del terremoto e ricordare, in questi giorni di festa da trascorrere in famiglia, quanto siamo fortunati.

Però, porterà la tragedia abruzzese ad una rivalutazione del valore dei gesti quotidiani, che si sta perdendo? Aiuterà a capire che la degenerazione nei comportamenti individuali causerà inevitabilmente il collasso della struttura che si chiama società, proprio come il terremoto?

Un paio di esempi.

Do minore accompagna a scuola il suo figlio maggiore. Ogni mattina, fra le 8.25 e le 8.30, il portone si apre e i bambini entrano nella scuola elementare.
Dotato di scarsa puntualità nella vita privata, Do minore talvolta costringe il piccolo a una veloce camminata per raggiungere la scuola in orario, perché la scuola è importante.

C’è sempre qualcuno in ritardo, che compare all’orizzonte stancamente quando gli altri genitori già si allontanano dalla scuola.

L‘aspetto sorprendente è la quantità di persone che portano i figli a scuola con un ritardo sistematico minimo di 10-15 minuti, li accompagnano fino in classe (cosa proibita salvo circostanze particolari), spesso lasciano l’auto in mezzo a un incrocio trafficato, sotto gli occhi di vigili stupefatti, insultandoli se provano a dire qualcosa, e si trattengono anche al bar per fare colazione!

Da buon 36enne cresciuto alla vecchia scuola, quella del rispetto per gli insegnanti e per le regole, Do minore si domanda come cresceranno questi bambini, che rischieranno di ignorare le elementari norme della convivenza civile, il valore di cose semplici, come una lezione che inizia in orario e un traffico scorrevole, ma conosceranno bene il proprio comodo.

Do minore si reca quindi in ufficio, a svolgere un lavoro che lo appassiona e che gli permette di valorizzare l’impegno di tanti anni di studio e lavoro. Un lavoro che lo mette in contatto con tante aziende in tutto il mondo e gli permette di conoscere, misurare e valutare chi lavori bene e chi meno.

Da un paio di anni, Do minore si scontra con una realtà in cui la misurazione e la trasparenza sono scomparse. In cui le informazioni sono nascoste, i fatti occultati o travisati. Così diventa quasi impossibile fare scattare i meccanismi virtuosi della selezione di mercato.

La gravità del problema non è la stessa ovunque, e l’Italia ovviamente non brilla, ma la situazione è seria dappertutto.
La grave crisi finanziaria, che potrebbe essere un’occasione per correggere le situazioni patologiche, rischia di diventare la giustificazione di interventi per tamponare problemi di breve periodo a scapito di un progresso diffuso nel lungo termine. Interventi che possono servire a perpetuare il potere e le posizioni di chi decide oggi e ci ha portato nelle sabbie mobili, travestiti da rimedi di cui beneficeranno le generazioni future.

Do minore ama impegnarsi in quello che fa, è sempre costruttivo, ma a volte è costretto a fermarsi, un po’ smarrito, a riordinare le idee.
Spera che la voglia di riscatto dell’Abruzzo sia uno stimolo per tutti noi.

sabato 11 aprile 2009

Un originale punto di vista sulla crisi finanziaria

Leggendo un articolo su un altro tema, ho scoperto una nuova prospettiva “da uomo della strada” sul crollo del colosso assicurativo AIG. L’autore è Matt Taibi, di Rolling Stone (edizione USA). Traduco liberamente, per comodità.

“Negli ultimi tre mesi del 2008, la società AIG ha perso oltre 27 milioni di dollari ogni ora. Fanno 465.000 dollari al minuto, o il reddito della famiglia media americana ogni sei secondi, o circa 7.750 dollari al secondo.

E tutto questo è accaduto alla fine di otto anni in cui l’America si è dedicata a rincorrere freneticamente l’ombra della minaccia terrorista con scarsi risultati, otto anni in cui ogni cittadino veniva perquisito in ogni aeroporto, ogni borsellino, borsa, cartella, zaino setacciato per cercare esplosivi nascosti in tubetti di dentifricio e brik di succhi di frutta.

Alla fine, il nostro governo non ha avuto gli strumenti per analizzare i bilanci di aziende che detenevano un autentico potere di vita e di morte sulla nostra società e non è stato in grado di trovare voragini nell’economia nazionale di dimensioni pari all’economia della Libia (il cui prodotto nazionale lordo nel 2008 è stato minore delle perdite di AIG nello stesso anno).”

venerdì 10 aprile 2009

Ouverture

Impromptu. All’improvviso, senza premeditazione, di getto. Tipicamente per strumento solista.

Il tentativo di un musicista appassionato, ma analfabeta di ritorno, di comunicare in libertà attraverso la metafora della musica.

La possibilità di coniugare tante passioni: lettura e scrittura, musica e computer, razionalità e sentimento, attaccamento alla vita reale e fantasia. Di combinare elementi diversi e vedere quale sia il risultato, senza saperlo prima.

L’ultimo regalo di Si bemolle, moglie blogger, che dopo avermi dedicato la vita e dato tre bambini, mi ha trasmesso l’entusiasmo per questa nuova avventura e trovato un bellissimo template. Grazie.

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Online dal 10 aprile 2009