domenica 29 novembre 2009

Il grande sport

Weekend di grandi eventi sportivi, questo, per Re e Sol.

Un paio di partite a Fifa 09 sul Nintendo DS del papà, con accoppiamenti e risultati sorprendenti, come Manchester United-Frosinone 2-3 oppure Brasile-Pisa 5-4 dopo i calci di rigore.

Partite di calcio gormitico. Di solito due in contemporanea, in campi adiacenti, con telecronache che si sovrappongono a voce sempre più alta, raccontando di azioni in contropiede di Muschiantico, fallacci di Troncannone, grandi parate di Kolossus e di arbitri sempre molto impegnati (di solito ci sono sempre almeno due o tre espulsioni per parte e le ammonizioni non si contano, ma fanno molto discutere i fratelli).

Poi gran finale con la commistione delle due cose. Le formazioni di Gormiti schierati da ambo le parti in un rigoroso 4-3-3: una rappresentativa mista di Lecce e Sampdoria contro la fusione di Manchester City e Manchester United. Non chiedetemi perché, visto che i bambini sono milanisti, ma il divertimento per gli ascoltatori nascosti della telecronaca è assicurato.
Risultato finale? Ovviamente una goleada per la squadra italiana.

Il grande sport, dal vivo, è qui.

martedì 24 novembre 2009

Tempo rubato

Milano, sera. Il clima diventa sempre più invernale ma è ancora mite.
In giro si incontra poca gente, i lampioni di Foro Bonaparte illuminano una coppia che procede a piedi verso un ristorante.
Il locale è tranquillo, accogliente. Non affollato. Come lui sperava, trovano posto anche senza prenotare.
Si godono due portate e un dessert. Qualche bicchiere di buon rosso.
Una cosa che non facevano da anni, a Milano.
Un tempo per parlare, guardarsi, sorridersi, stare insieme anche al di fuori della casa, dei suoi ritmi, dei suoi riti. Suoni diversi, luci diverse, abiti diversi.
Un tempo rapido, che non fa sentire la mancanza dei bambini.
Un tempo dilatato, per prendersi per mano e passeggiare spediti ma senza fretta verso casa.
Un tempo maturo, per ricordare che, nel bene e nel male, questo pezzo di città è il vostro, e nonostante i tuoi dubbi forse è davvero l’unica cornice giusta per la bellezza che ti ha catturato anni fa e che è sempre più intensa.
Un tempo rubato, per pensare alle movenze aggraziate, fasciate dal vestito, che ti stanno riaccompagnando all’abbraccio festoso dei vostri piccoli. Ti è stata data l’opportunità di essere felice e l’hai colta.

L’amore è anche questo. E anche la vita.

domenica 15 novembre 2009

Produzione, consumo, conversazione e marketing 2.0

Da quando bazzico il mondo del 2.0 ho visto iniziative di vario genere. Alcune di carattere marketing/promozionale/pubblicitario, altre di carattere informativo, altre con la finalità di creare gruppi di consumatori meglio preparati.

Va tutto bene, io faccio le mie scelte, rivendico per tutti il diritto di fare le proprie ed eventualmente cambiarle, e credo che su link, banner pubblicitari, etc. ognuno sia chiaramente libero di gestire il proprio spazio in rete come meglio crede, purché renda ben chiaro ai potenziali visitatori che cosa stia succedendo.

L’unica cosa di cui mi senta un purista nel web 2.0 è la trasparenza.

Mi permetto di svolgere qui una considerazione di carattere economico, usando termini assolutamente comprensibili, facilmente trasponibile anche ad altri ambiti.

Si parla di domanda (il lato dei consumatori) e offerta (lato delle aziende).
L’idea di fondo è che “più” sia “meglio”: se posso avere tre paia di scarpe anziché uno o due, una casa o un giardino più grandi, più cibo, sto meglio.
Se supponiamo, realisticamente, che la “soddisfazione” che ricavo dalle quantità iniziali di un bene o un servizio (ad esempio il primo paio di scarpe, i primi tre locali di un appartamento) sia maggiore di quella delle unità successive (ad esempio il terzo paio di scarpe o ulteriori metri quadrati di casa) e che decresca a poco a poco, sarò disposto a pagare sempre meno per acquistare quantità maggiori.
Le aziende, invece, sono disposte a fornire maggiori quantità di beni o servizi a prezzi crescenti.
Consumatori e aziende che non si conoscono si incontrano in un mercato: il luogo in cui, in teoria, si determina un prezzo di equilibrio, al quale la quantità domandata dai consumatori con soddisfazione è uguale a quella prodotta con soddisfazione dalle aziende.

Poiché però il prezzo che, come consumatore, sono disposto pagare per le unità aggiuntive di un bene è decrescente all’aumentare della quantità, al prezzo di equilibrio si determina un “surplus”, cioè la differenza fra quanto sarei stato disposto a pagare al massimo e quanto ho effettivamente pagato.
Per esempio, ipotizziamo che vada a comprare dal mio fornaio preferito 5 brioches pagandole 1 euro l’una. In teoria, magari, sarei stato disposto a pagare 5 euro la prima brioche, 4 la seconda, 3 la terza, 2 la quarta e 1 la quinta.
Ma il fornaio non lo sa e troviamo un prezzo di equilibrio a 1 euro. Se lo avesse saputo (e io avessi avuto abbastanza soldi), mi avrebbe chiesto 5+4+3+2+1=15 euro per le brioches, in realtà, invece, ne pago 5 e il mio surplus è di 10 euro.

Supponiamo che in qualche modo (un’indagine, pettegolezzi di quartiere, chiacchiere ascoltate per caso fuori dal negozio, social networking, forum su Internet) il fornaio venga a sapere che io sono molto goloso, o che le sue brioches mi piacciono più di qualunque altro dolce, o che sarei molto felice di vederle migliorate dalla ricopertura con una glassa sottile. Potrebbe sfruttare questa informazione per modificare leggermente le brioches secondo i miei desideri (ma non necessariamente) e alzare i prezzi in modo tale che il nuovo prezzo di equilibrio sia di 2 euro.

Adesso, se i miei gusti e le mie disponibilità finanziarie non sono cambiati, il nuovo equilibrio mi vedrà acquirente di 4 brioches a 2 euro l’una. Risultato? Spendo 8 euro, 3 in più di prima, per avere una brioche in meno rispetto a prima. Il mio surplus si riduce a (5+4+3+2)-8=6.

Il punto è proprio questo. Quando comunichiamo, nel mondo reale, in rete, nei social network o nei forum, o cercando di costruire piattaforme in cui i consumatori interagiscono con le aziende (o i politici, o chiunque altro), vengono rivelate delle informazioni che possono essere usate per migliorare la qualità di prodotti o servizi, ma anche per aumentarne i prezzi.
È vero che la “soddisfazione” delle persone non si misura solo in termini monetari, (l’esempio è comunque valido anche in altri ambiti, ad esempio le nostre preferenze possono essere sfruttate a fini politici), ma nell’esempio di prima si nota come il consumatore risulti impoverito: con meno beni, pagati più cari, “espropriato” di una parte del suo surplus. Siamo sicuri che l’eventuale piacere di un po’ di glassa sulla brioche valga così tanto?

Se i produttori sono bravi a raccogliere informazioni sul mercato e sui clienti, a combinarle per soddisfarli con prodotti azzeccati, tanto meglio: si saranno meritati il loro profitto. Ma lasciamoli faticare un po’.
Non capisco perché debbano essere i consumatori a regalare, o quasi, alle aziende informazioni su di sé, sulle loro storie e preferenze, a fini commerciali.
Non capisco come questo possa dare forza ai consumatori (non stiamo parlando di un forum di consumatori o di gruppi che si scambiano orizzontalmente opinioni sui prodotti).
Soprattutto il valore affettivo ed emozionale attribuito ad alcuni prodotti mi sembra un dato altamente sensibile. Esperienze come lo storytelling sono affascinanti da molti punti di vista, ma possono essere rischiose per i consumatori, sotto il profilo commerciale.

Sono curioso di vedere come evolverà il Talking Village, perché l’opinione che mi sono formato via web di Flavia e Piattini è positiva e credo possano fare un buon lavoro. Ma non bisogna dimenticare che gli utilizzatori del marketing della conversazione dovrebbero essere le aziende, che non si suppone cooperino con i loro clienti, al di là dei buoni propositi e, ogni tanto, di una spruzzata di marketing etico.

giovedì 12 novembre 2009

Concetto monetario, concetto affettivo

Dopo alcune conversazioni recenti, mi sto ponendo con insistenza la seguente domanda.
Perché se un padre passa 15 ore al giorno fuori casa per lavoro è un professionista scrupoloso e da ammirare, se passa 8 ore alla settimana a schiantarsi di squash, spinning e a farsi qualche aperitivo con gli amici è una persona che dedica del doveroso tempo a se stesso, e se invece cerca ostinatamente di ritagliarsi degli spazi decorosi per godersi sua moglie e i suoi figli è un poveretto che non sa stare al mondo, o, nella migliore delle ipotesi una sorta di fanatico integralista della famiglia?

Una risposta che ho trovato è che, anche nei rapporti personali più stretti, il metro per il giudizio sia diventato monetario, e non più affettivo. Il numerario non è, magari, il denaro in senso stretto, quanto piuttosto l’ora di equitazione, la gara di go-kart, la scuola materna esclusiva che insegna conversazione in giapponese, la cena di coppia “obbligatoria” fuori, spero di avere reso l’idea.

Attenzione, non trovo nulla di sbagliato in nulla di tutto questo, anzi sono tutte belle cose, solo non mi pare nemmeno che vi sia qualcosa che non va nella scelta di stare con la famiglia. E non penso che il “quality time” sia necessariamente stare poche ore l’anno ai vari saggi dei figli (anche per controllare se gli investimenti hanno fruttato): anche provare a leggergli una storia prima di dormire, o stare ad ascoltare quello che hanno fatto durante la giornata, può andare bene.

E come mai, se qualcuno ha dei problemi di scarso impegno, motivazione o rendimento sul lavoro, la questione è grave, mentre se considera i propri bambini un peso da sopportare di malavoglia fino all’ora della nanna, si tratta di preservare i propri spazi vitali per essere uomini (ma forse anche donne) realizzati? E immediatamente, come per molte debolezze comuni, che a volte fanno anche comodo, scatta una solidarietà automatica, fra co-vittime di una prole che rende meno liberi?

Certo che rende meno liberi, sono i genitori che liberamente scelgono se fare i figli, poi però dovrebbero avere voglia di occuparsene non solo materialmente, ma anche affettivamente, ed è un vincolo molto serio.

Non sono abituato a dare giudizi sui comportamenti delle altre persone, se non richiesti, e soprattutto in campi come la genitorialità non credo proprio che esista un modello corretto predefinito.
Però comincio ad essere stufo di gente che rompe le uova nel paniere agli altri, sentendosi in diritto di pontificare e criticare, provando a mettere chi fa scelte lievemente controcorrente nell’angolo di una società che, forse anche per l’involuzione di certe basilari relazioni interpersonali, peggiora rapidamente.

domenica 8 novembre 2009

Raggi di sole

L’inverno è alle porte.

Ho trascorso un fine settimana domestico, fatto di dormite più lunghe del solito, partite a Monopoly junior con i bambini, riordino della camera dei maschi, visite ai nonni. Serviva, dopo un paio di settimane faticose.

Mi piacciono i colori e l’atmosfera dell’autunno. Il passaggio all’inverno lo trovo, invece, piuttosto cupo. Sarà per il buio, le giornate che si accorciano, il freddo.

Sembrava che i bambini avessero capito la necessità di noi grandi di un po’ di riposo in più, o forse erano stanchi anche loro. Si sono svegliati tardi, sono stati bravi e avevano una gran voglia di provare il loro nuovo gioco in scatola.

L’autunno, che quest’anno è stato ingeneroso con la famiglia di note, si è fatto salutare nel migliore dei modi.

I raggi tenui del sole del mattino, sabato a colazione, illuminavano il tinello e la curva delle guance rosee di Re, Sol e Mi sorridenti, le tazze e il biberon di latte in mano, lo sguardo vivace e complice di chi sta per trascorrere una giornata insieme in allegria.

L’inverno può arrivare.

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Online dal 10 aprile 2009