lunedì 19 aprile 2010

Legno e metallo

Mi piace che mi accompagni da quasi vent’anni.
Mi piace l’odore tenue del bronzo ossidato sui polpastrelli della mano sinistra, che puoi solo percepire.
Mi piace risentire la pelle farsi un po’ più coriacea, quel lieve bruciore da vibrazione e slide, che dovrebbe scomparire con il tempo, come quindici anni fa.
Mi piace riabituarmi alla sua forma, ché al posto delle sedie di una volta ora sto su un letto matrimoniale e intorno a parole e accordi ho le teste di tre vispi marmocchi.
Mi piace osservare, per la prima volta attentamente, il manico, come un vecchio amico che hai visto ogni giorno per anni, ma di cui noti le particolarità e i cambiamenti dopo una lunga lontananza. La tastiera consumata da note suonate e risuonate, quelle che piacciono a me. I buchi scavati nel legno di buona qualità, che a volte fanno scappare i suoni e friggere le corde. L’angolo con la cassa, che forse è cambiato in modo impercettibile agli altri, ma non a te.
Sei corde tese dal riflesso opaco, perché non è vero che nuove suonano meglio, e nel fodero hai sempre un altro set di corde già un po’ usate, ammorbidite, con il prezzo ancora in lire.
Legni che hanno visto montagna, mare e perfino Montecarlo.
Una tracolla artigianale di metà anni ’90 fatta con quattro fili di pelle annodati, comprati in Costa Smeralda, che sta cedendo, ma non hai cuore di togliere, tanto non ti dà fastidio al polso.
E tutto questo richiederebbe, meriterebbe mani più abili, dita capaci di rispondere al comando di ciò che vorresti fare, e invece devi accontentarti di pensare, ma ti piace così.
Altra casa, altri muri, altro clima. Sta con me da ventun anni, ma è da parecchio che non ci frequentiamo. Vedo le piccole ammaccature del legno, le cromature scrostate delle cerniere della coda, aperte tante e tante volte. Sorrido. Allora apro ancora. Guardo corde, telaio, martelli, feltri, smorzatori. Una voce di bambino mi chiede di spiegargli “che cosa c’è dentro”, come funzioni un piano intonato, un po’ scordato, reso inutilizzabile dall’umidità, ma ancora vivo. Un altro bambino si avvicina, allegro, curioso, canticchiando. Ricordi. Sento la mia voce di bambino, che chiede “che cosa c’è dentro”? È cominciato tutto così.
Penso che vorrei essere stato come loro. Che sarei stato più dotato, che mi sarei impegnato di più.

Prima casa, primi muri, primo clima. Entro in una stanza piena di vita, di cose e di persone. Vedo il legno rossiccio di un pianoforte digitale. Mi accompagna da quasi nove anni. Sorrido. Vedo due giovani sposi che entrano in una casa nuova, grande. Vedo una giovane donna che mi propone, con aria soddisfatta di sé, di regalarmi un pianoforte che si possa suonare anche di notte.
Non inganni l’elettronica. Anche questo piano l’ho aperto, toccato, conosciuto. È il mio strumento.
Vedo un giovane marito entusiasta all’idea di andare insieme a sceglierlo.
E vedo molto altro che l’entusiasmo ha portato.
Può continuare tutto così.

giovedì 15 aprile 2010

Pezzi di bene fra pezzi di male

Ognuno è figlio del suo tempo, ognuno è complice del suo destino.
Chiudi la porta e vai in Africa, Celestino!

La musica è sempre sorprendente. Proprio mentre pensavo agli argomenti di questo post, ho ascoltato la canzone di De Gregori di cui ho trascritto due versi sopra e da cui ho tratto il titolo.

Leggo dell’imprenditore di Adro. Leggo la sua lettera, in cui spiega perché ha deciso di pagare la refezione scolastica ai bambini i cui genitori non erano in grado di farlo. Penso che sia stata la cosa più giusta da fare.

Leggo che qualcuno protesta. Adduce motivazioni pretestuose, ma è chiaro gli scocci fare la figura dell’egoista e del razzista.

Questo gesto è un grande esempio di senso civico e senso pratico, di una legalità e difesa di principi sani che si cala nel concreto, anche con il rischio di aiutare qualche furbo.

E io mi domando: in casi come questo, lo Stato dov’è? Che altro dovrebbe fare, se non occuparsi di situazioni del genere? Dove sono i politici che dovrebbero ispirarsi a idee per cui i più deboli dovrebbero essere aiutati? Sono sempre state parole vuote già nel secolo scorso, figuriamoci oggi. Del partito dell’amore non parlo nemmeno. Eppure basterebbe una colletta di una cifra abbordabilissima per i nostri politici strapagati per raggranellare 10.000 euro, probabilmente raccolgono di più per fare un regalo ai colleghi che si dimettono o vanno in pensione (ah, già, che sbadato: dimenticavo che quasi nessun politico si dimette o va in pensione in Italia!).

Poi, certo, lo Stato siamo noi. Noi uomini che spesso trattiamo le donne come merce e ai bambini diamo insegnamenti agghiaccianti di egoismo, menefreghismo e li spingiamo ad allontanare da sé i più deboli e i diversi. Noi donne che ci scanniamo sul lavoro e nella vita fra mamme e non mamme, fra madri-scimpanzé e vere donne libere, e che proviamo a fare di tutto per riuscire a diventare come uomini così (non commento nessuno dei link, ma la loro lettura è istruttiva).

Noi cittadini, che pensiamo che i problemi delle famiglie si risolvano con gli asili nido e qualche decina di euro di detrazione fiscale per i figli e non capiamo che la soluzione sarebbe permettere ai genitori di ridurre in misura rilevante il carico di lavoro negli anni dell’infanzia dei bambini, magari concedendo di lavorare anche da casa, senza scontare questo grave peccato della maternità o paternità come natura vuole per il resto della vita.

Noi che continuiamo ad aggiungere mura su mura, pensiamo che la demagogia, la forza, l’astuzia e l’irrigidimento possano proteggerci dai rischi che i cambiamenti che stiamo vivendo in questi anni, e che continueranno in quelli a venire, inevitabilmente comportano, senza capire che, se non impariamo a piegarci nel modo giusto, finiremo spezzati.

L’imprenditore di Adro dobbiamo ringraziarlo molto più noi lettori dei bambini che, grazie a lui, ora riprenderanno a mangiare alla mensa scolastica. Per fortuna qualcuno lo sta già aiutando a difendersi e a sopportare le offese che si aspetta.

venerdì 2 aprile 2010

Memento

Martin Amis: “Terrore e noia: la dipendenza mentale” in “Il secondo aereo. 11 settembre: 2001-2007”, Einaudi, 2009, pag. 73

“Nella ‘vecchia’ Europa, come l’ha definita sprezzantemente Rumsfeld, l’idea di una classe politica si fonda sul presupposto imprescindibile dell’esistenza di controlli e contrappesi, di frangiflutti psichici che limitino la corruzione insita nella supremazia di una sola persona.
Non si tratta di igiene mentale; lo capiscono tutti che una mente bacata prenderà decisioni bacate.”

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Online dal 10 aprile 2009