sabato 31 dicembre 2011

Buon anno

Lo so, non bisognerebbe lasciar passare troppo tempo senza scrivere sul blog.
Il 2011 è stato un anno in cui sono successe molte cose, sinceramente mi sono mancati il tempo e ultimamente anche le idee per scrivere qualcosa di interessante.
Del resto, anche le frequentazioni nel mondo reale sono state complicate.
Guardando i bambini che giocano con Lego games, Super Mario e album di figurine sto per salutare il 2011 insieme alla famiglia di note. Cercherò di fare meglio l'anno prossimo.

Buon 2012 a tutti.

lunedì 3 ottobre 2011

Specchi

Gli occhi dei miei bambini sono i miei specchi sul mondo. Occhi grandi, verdi o scuri, occhi ingenui o maliziosi, aperti o diffidenti, allegri o tristi, umidi di riso o di pianto, sereni o rabbiosi. Occhi che qualche volta indicano di non avere bisogno del papà, ma che più spesso interrogano, cercano, parlano, attraggono. Sono specchi di un mondo che cambia, della vita che scorre, delle soddisfazioni e delle delusioni, dei problemi e delle soluzioni, dell’armonia e dei litigi. Gli occhi di chi impara a studiare, a scrivere, a raccontare, a giocare, a vivere, sono uno specchio sempre pulito, lucido, scintillante, fortunatamente non ancora reso opaco dagli anni.
Il mondo che cambia si riflette anche negli occhi neri di Sol di sei anni, che guarda il mappamondo per cercare un Paese lontano, sentire da una voce elettronica quante ore di volo occorrano per raggiungerlo, contare quanti anni un compagno di classe e di giochi vivrà in quel Paese perché il suo papà si trasferirà per lavoro, sperando in un rientro a Milano che potrebbe essere rimandato ben più a lungo. Quando andavo io alle elementari, il trasferimento più lontano della famiglia di un mio amico fu in Campania. Il rovescio della medaglia di una globalizzazione dai percorsi low cost, in cui le distanze in apparenza si accorciano, è che i legami sono sempre più a rischio: non c’è solo la concorrenza cinese che entra di forza nei distretti industriali italiani e li polverizza, ci sono anche i globetrotters che si spostano alla bisogna, da un continente all’altro o pendolari da 300 km al giorno in auto, spesso costretti a viaggiare emotivamente leggeri.
Non siamo tutti uguali: il bagaglio di affetti che dà al mio cuore il suo giusto peso diventerebbe una zavorra pesantissima da spostare, se certe scelte di vita toccassero a me. Su questi temi, Re e Sol non hanno ancora cominciato a riflettere davvero, ma le espressioni dei loro visi quando si parla di queste cose mostrano lo smarrimento di chi capisce che siano questioni importanti, senza riuscire a coglierne la reale portata. Aiutarli a camminare attraverso un mondo complicato, cercando di non condizionarli troppo, ma senza essere reticente sulle mie idee e i miei sentimenti, se vorranno conoscerli, sarà una sfida impegnativa per il futuro.

mercoledì 20 luglio 2011

Sfizi sinistri, destri maldestri

Lo diceva benissimo Giorgio Gaber: “è evidente che la gente è poco seria quando parla di sinistra e destra. Ma cos’è la destra? Cos’è la sinistra?”.
È normale che, quando le cose non vanno bene, i governi in carica nei vari Paesi vengano sostituiti e finiscano sotto pressione, ed è normale che, quando le condizioni di vita divengono più difficili, la gente diventi più chiusa ed egoista: purtroppo anche questo fa parte della natura umana. Così in Europa abbiamo assistito ad un ritorno al potere di forze politiche di destra, spesso liberali solo in apparenza, populiste e xenofobe, che hanno dimenticato per strada gli aspetti migliori del valorizzare le individualità, l’efficienza, l’iniziativa privata. E siccome filo spinato, panem et circenses e una certa leggerezza fiscale per costruire il consenso costano, tipicamente tocca alle forze politiche di sinistra, che dovrebbero avere una propensione maggiore ad utilizzare la spesa pubblica come leva politica, ad implementare politiche inclusive e di sussidiarietà per ridurre le diseguaglianze eccessive, ovviamente costose, rimettere in sesto finanze pubbliche squassate. Questo grafico dell’Economist, però, è impressionante.
Ci dice che in Europa, dove dovremmo conoscere bene i rischi dell’estremismo politico, di destra come di sinistra, sono stati sprecati oltre 50 anni di pace, espansione economica e sociale senza capire che alcune politiche considerate più tipicamente di sinistra non sono un lusso, uno sfizio costoso, ma che dovrebbero essere obiettivi “universali” e trasversali della politica, di cui tutti i cittadini, anche di destra, dovrebbero appropriarsi. Sarebbe stato nell’interesse di tutti. Non mi sorprende il fatto che le condizioni economiche abbiano un peso determinante nelle scelte politiche. Ma che noi Europei, Italiani compresi, non siamo stati capaci di capire che valga la pena investire sull’integrazione, la cultura, l’aggregazione, la riduzione delle diseguaglianze, è una sconfitta per tutti e non fa che rendere più complessa la soluzione dei gravi problemi che abbiamo di fronte. Piazza Duomo arancione a Milano è un ricordo recente, ancora entusiasmante, di una partecipazione politica vasta, esigente. La crescente assenza di un ricambio politico in Europa negli ultimi anni riflette una drammatica assenza di domanda di cambiamento, o di domande in generale. Forse perché non sempre abbiamo le idee chiare su cosa vogliamo.

mercoledì 15 giugno 2011

Corde

Andare un sabato mattina in un grande negozio di strumenti musicali a vedere chitarre e tastiere con Re e Sol, e guardare le loro facce un po’confuse, rivolte verso l’alto, nell’osservare corde, legno e poco altro, di tutte le chitarre di varie fogge e colori esposte, sentire il fragore degli accordi di chi prova le elettriche con gli amplificatori da palco mescolato ai miagolii tirati di chi suona un assolo. Un tessuto sonoro caotico e magnetico al quale i bambini sono stati esposti per la prima volta, per me un piccolo rito che non si ripeteva da alcuni anni. Nella saletta delle acustiche, se ho visto bene, la corista degli Elii, scusate se è poco. Chitarre taglia bambino e piccoli ukulele colorati, improvvisamente assurti a oggetti di interesse e desiderio di Re e Sol.
Nella sala delle tastiere, una distesa bianca e nera da fare invidia a un quadro astratto, e display, pulsanti e manopole ad attrarre l’attenzione dei miei cuccioli.
Corde che legano, che vibrano, corde tese e dritte che suonano bene e, a guisa di bussola, indicano la direzione.
Corde di un pianoforte bianco nel nuovo, divertentissimo show di Corrado Guzzanti, della marca coreana Young Chang, a cui oltre vent’anni fa Do minore è stato uno dei primi milanesi a dare fiducia e che ora entra in una trasmissione che diventerà un cult. Anche queste sono soddisfazioni.

giovedì 26 maggio 2011

Coscienza liberale

Con un certo imbarazzo parafraso il titolo del bestseller del grande Paul Krugman, ma alla vigilia del ballottaggio che chiuderà la campagna elettorale più vergognosa e umiliante cui mi sia capitato di assistere, non posso fare a meno di pormi qualche domanda.
Come sia potuto accadere, ad esempio, che un drappello di personaggi appartenenti a – o emanazione diretta di - un ceto sociale, economico e politico tendenzialmente conservatore, abbia potuto promettere una rivoluzione liberale, e che in molti ci abbiano creduto.
Per quale motivo dei liberali dovrebbero essere infastiditi dal consentire, in maniera moderata e controllata dalla legge, l’immigrazione, la possibilità di professare religioni diverse o di non nascondere il proprio orientamento sessuale.
In che modo i Milanesi liberali, e ce n’è ancora qualcuno, comunque votino domenica prossima, possano accettare di credere di dover salvare la propria città dalla deriva bolscevica, estremista, musulmana, sodomita, in cui tutti saremo storditi dall’abuso di droghe (in una città in cui, per la cronaca, anche se non penso ci sia una relazione fra le due cose, le tracce di cocaina urinata sono cresciute enormemente negli anni di governo del centrodestra, in cui 14 anni fa chi oggi cavalca la paura di zingaropoli considerava i nomadi una risorsa).
Laddove la cultura del bipolarismo è ben radicata, i liberali si oppongono ai conservatori e cercano di eliminare ostacoli, differenze e ineguaglianze, soprattutto iniziali, che possono impedire a uomini e donne di esprimere la propria personalità, seguire le proprie inclinazioni e realizzare i propri progetti nella vita, in maniera soddisfacente e produttiva per tutti.
Laddove la politica ha creato un vuoto da conquistare, qualcuno sostiene opportunisticamente che vengano inculcati messaggi sbagliati nelle teste di persone senza cervello. Scordandosi che perfino queste ultime, qualche volta, possono accorgersi del tentativo di ribaltare il vero significato delle parole.

martedì 12 aprile 2011

Cosa devo alla scuola pubblica



Chi segue questo blog sa che il tema della scuola (pubblica) mi è caro: ne ho già scritto in tre occasioni (1, 2, 3) e non voglio ripetermi, quindi, aderendo alla Giornata di Blogging sulla Scuola Italianavorrei soffermarmi su due aspetti più personali.
Il primo è questo. Quando penso alle mie amicizie, alcune fra le più importanti risalgono agli anni universitari (in un ateneo privato che mi ha dato tanto), ma molte le ho strette negli anni precedenti, trascorsi frequentando scuole pubbliche. Il fatto che la scuola fosse pubblica non è secondario, perché proprio il fatto di essere immerso in un ambiente socialmente eterogeneo e, in alcuni anni, ideologicamente assai diverso da quello che avrei frequentato in un habitat protetto e più simile alle mie inclinazioni dell’epoca, mi ha permesso di conoscere ed apprezzare persone con cui ho ancora un dialogo, a distanza di anni. Questo è importante perché, crescendo, la realtà circostante è cambiata, ma soprattutto è mutata la mia percezione di essa e sono molto cambiate le mie opinioni. A posteriori, posso dire che sarei più povero se non avessi fatto le esperienze e gli incontri che ho fatto, in bene o in male, e che forse mi hanno aiutato a cambiare in meglio, o anche solo ad essere capace di cambiare e di capire e accettare le differenze.
Il secondo è che l’ambiente disordinato, che urtava, trascinava e costringeva sempre a prendere una posizione, anche solo quella, apparentemente più passiva, di distanziarsi nettamente da ciò che era la tendenza generale, mi ha aiutato ad acquisire una maggiore consapevolezza di me stesso, delle mie idee, del mio potenziale e dei miei limiti e, fatto ancora più importante, mi ha portato a cercare anche nel “semplice” andare a scuola e studiare, che nella mia famiglia è sempre stato considerato il mio primo e fondamentale dovere, le motivazioni e gli stimoli per fare al meglio quello che mi piaceva meno e a capire perché invece mi appassionasse quello che mi appassionava. Tutto questo sarebbe stato più difficile da ottenere in un ambiente uniforme e ovattato.
Insegnanti molto bravi (e qualche bidello simpatico), che ricordo ancora con piacere, sono stati decisivi in questo percorso, perciò mi risulta particolarmente sgradito sentire oggi chi si riferisce a loro come a numeri da calcolare, oggetti da tagliare. Ci sono molte cose che Si bemolle e io possiamo dare ai nostri figli, dal punto di vista educativo e dell’istruzione, dentro casa. Ridurre la scuola pubblica ad un mosaico senz’anima, una girandola di turni in cui parcheggiare i bambini per una quarantina di ore alla settimana, non può che togliere un prezioso contributo per la loro crescita.

venerdì 1 aprile 2011

A volte ritornano: le stalle di Augia

Ogni tanto si leggono notizie più sorprendenti che deprimenti. Come questa, sulla presunta truffa delle vacche ottuagenarie, contro una vita media di circa otto anni, per contribuire a giustificare una produzione di latte che eccederebbe abbondantemente la capacità produttiva italiana. Una truffa che coinvolgerebbe un ente governativo e un’agenzia ministeriale.
Torna in mente la mitologia, la sesta fatica di Eracle, quella delle stalle di Augia, il re dell’Elide che aveva ricevuto in eredità dal padre un dono preziosissimo: armenti di origine divina, immuni dalle malattie. Queste mandrie di bovini sempre sani che si riproducevano non erano solo una grande ricchezza. Ben presto le stalle di Augia si ritrovarono invase dal letame, cosa molto sgradevole e malsana per gli abitanti dei dintorni, al punto che la luce del sole era oscurata dagli sciami di mosche attratti dalla sporcizia. La situazione divenne talmente grave che Eracle, sfidato a ripulire le stalle e il regno in un solo giorno, per riuscire a portare a compimento la fatica dovette addirittura deviare il corso di due fiumi, le cui acque impetuose lavarono stalle, scuderie e tutto il territorio circostante.
Le inchieste giudiziarie faranno luce sulle responsabilità del caso, su come sia possibile che ad un’agenzia governativa risultino esistenti 2.905.228 vacche contro i 1.668.156 capi di bestiame effettivamente verificati all’anagrafe.
Non ho idea di chi possa occuparsi di ripulire il nostro territorio da tutto ciò che lo inquina, però una mandria bovina quasi doppia rispetto alle dimensioni reali potrebbe essere una buona spiegazione per la puzza che sempre più spesso ci tocca sentire in questo paese…

sabato 19 marzo 2011

Festa del papà (Purple Haze)

La festa del papà è vedere gli occhi di Re nello specchietto retrovisore quando insieme andate a tagliare i capelli, è guardare Sol che ti sorride al sole, capelli al vento, mentre fa i suoi primi giri in bicicletta, è lo sguardo ammiccante di Mi dietro un bicchiere o una tazza, a tavola. È ricevere disegni e biglietti affettuosi, inviti a giocare e a fare cose insieme. È guardare su Youtube la sigla della Casa di Topolino e Jimi Hendrix che suona Purple Haze.
La festa del papà è anche la fatica quotidiana di essere severo, di dire tanti no, di minacciare castighi e di darli, di alzare la voce quando serve e trovare l’idea giusta per farti sentire sopra le urla, di fare lunghi discorsi che già sai che dovrai ripetere un milione di volte a figlio per provare a spiegare come secondo te si sta al mondo, di rispondere a qualunque domanda in ogni momento, di avere mal di schiena per giorni per insegnare ai bambini ad andare in bicicletta, di riordinare le camere e fare le docce. Una fatica fisica, mentale e psicologica, alla faccia delle banalità che si leggono sui padri che non hanno la forza né la voglia di fare i padri, che però non è che l’altra faccia di una medaglia che porta la soddisfazione e la gioia di un abbraccio, una coccola, un sorriso: la sequenza di momenti belli e meno belli che è la vita.
La festa del papà e la fatica del papà sono dappertutto, inebrianti e totalizzanti. Sono tutti i giorni, nell’andare a scuola, nel rincasare dal lavoro, nella sorpresa di una corsa sui marciapiedi e nel giardino di casa, quando cadono le prime gocciolone di un potente temporale e l’odore tipico della pioggia di Milano, dell’asfalto asciutto che comincia a bagnarsi, ti sale nel naso e lo fai notare a due maschi incappucciati che non ci avevano mai fatto caso, piccoli Marcovaldo quasi increduli perché per una volta sei stato tu a dirgli di correre.

sabato 26 febbraio 2011

Marketing divino

Sono diventato adulto in Italia, ho vissuto la mia giovinezza negli anni ’80 e ’90, gli anni dell’esplosione della tv commerciale, dei settimanali patinati. Ho ingurgitato con l’imbuto tutto il marketing che mi è stato imposto dai genietti della pubblicità. Sono passato dagli slogan-tormentone, agli spot divertenti, ai jingle accattivanti, che penso facciano parte della cultura pop del nostro paese, ai corpi quasi nudi per pubblicizzare qualunque cosa (e purtroppo penso che anche questi ormai siano parte della cultura pop del nostro paese). Credevo, insomma, di avere visto tutto.
Poi, due giorni fa, ho incontrato questo.
Che cosa si può dire di un manifesto del genere? Prima di tutto, mi immagino il compiacimento di chi ha apposto quella piccola firma in corsivo – Dio – a destra, sotto la scritta. Una trovata che dev’essersi meritata almeno un cinque alto fra i membri del team che l’ha partorita.
Scherzi (si fa per dire) a parte, la considerazione grave è che ormai anche nel nostro Paese, sulla carta laico, si senta il bisogno di pubblicizzare le confessioni religiose in modo sempre più esplicito, come se fossero un bene di consumo qualsiasi, in mezzo ad altri prodotti, pièce teatrali, concerti e candidati alle elezioni.
Che fedi possono essere quelle che hanno bisogno di manifesti e siti internet, volantini e telepredicatori? “Io ti ascolto” sarà una promessa consolatoria, ma non può avere anche un suono vagamente intimidatorio? Una versione aggiornata dell’antico “Dio ti vede”?
Il comprensibile, crescente disagio verso quella che, di fatto, è la nostra religione di Stato ci sta portando a risultati di questo tipo. La scelta sull’allocazione dell’8 per mille e la possibilità di finanziare i gruppi religiosi preferiti esistono già. Ma quando la religione diventa una questione di marketing, di numeri, masse, difesa e conquista di risorse e quote di mercato, semplicemente si svuota del suo contenuto profondo. Lo dico con l’umiltà di quel poco che credo di avere capito al riguardo. Se stratagemma deve essere, meglio, allora, affidarsi a un calcolo, al modo di Pascal: almeno quel ragionamento ha una sua eleganza. Quanto al resto, c’è di buono che nessuno di noi conosce la risposta: neanche questa è un’idea originale, ma almeno è una grande verità. Che a ben pochi, però, interessa pubblicizzare.

lunedì 7 febbraio 2011

Banane

Se in Italia si è instaurato un clima da repubblica delle banane, un motivo ci sarà pure. Non occorre neanche sforzarsi di pensare alle cose importanti per averne un esempio.

La scorsa estate, nella prima metà di luglio, al ritorno da alcuni giorni di vacanza, ho trovato un grande cartello giallo a tutti gli accessi di una delle strade che circondano casa mia, che indicava lavori su un tratto di strada lungo poche centinaia di metri, fra il 19 luglio e il 30 agosto, che avrebbero reso più difficile la viabilità.
Intorno al 10 settembre, con i cantieri ancora aperti, sulla data del 30 agosto è stato incollato un foglio di carta con scritto 30 settembre.
Il foglio di carta è stato spazzato via dalle prime piogge autunnali, ma i cantieri sono rimasti aperti. Così ne è stato appiccicato uno nuovo, a fine settembre. Data di fine lavori prevista: 24 ottobre.
A metà novembre, l’amministrazione comunale si è premurata di informare i residenti, sempre con un foglio di carta e un pennarello, che i lavori si sarebbero conclusi entro il 30 dicembre.
Oggi, rientrando da un fine settimana di sole al mare, ho visto che il termine presunto dei lavori è il 22 febbraio.

Bananas, anyone?

domenica 16 gennaio 2011

Financial district

Il mondo della finanza non è tutto uguale, anche se c'è chi lo pensa solo grattacieli di vetro e acciaio.


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Online dal 10 aprile 2009