domenica 24 maggio 2009

Di corsa!

Oggi è stato il giorno della marcia della scuola di Re.

La stessa scuola che abbiamo frequentato Si bemolle e io.
La marcia non competitiva di fine anno c’è sempre stata, ma la distanza è stata ridotta.
Un percorso più breve che ha comunque divertito i bambini, i quali di solito non hanno molte occasioni di correre in giro per la città.

Così, questa mattina, mi sono presentato al ritrovo con Re e Sol.
Mi, sul passeggino, e Si bemolle in questa edizione sono state due spettatrici, ma anche loro hanno dovuto muoversi in fretta per seguire da vicino i partecipanti.

Re, che sta concludendo la prima elementare, era molto compreso nella parte del corridore: ha giocato un po’ con i suoi compagni di classe prima dell’inizio e poi si sono messi tutti insieme a cercare una posizione favorevole per la partenza.

Poco dopo, via, di corsa! Per noi, in più, l’entusiasmo della prima volta.

Il modo in cui i bambini hanno corso insieme è stato quasi da professionisti: c’era la lepre che scattava in avanti e stimolava il resto del gruppetto a raggiungerla.

Si bemolle ed io ci muoviamo praticamente sempre a piedi in città, e abbiamo abituato anche i nostri bambini a farlo. Quindi macinare distanze, anche lunghe, di buon passo non è una novità per loro.
Certo, la corsa è un altro conto, quindi non sapevo bene che cosa aspettarmi.
Invece la resistenza di Re e di quasi tutti i suoi compagni è stata buona, e in una decina di minuti la distanza è stata coperta, nonostante l’infernale caldo umido milanese.

La sorpresa della giornata è stata la prestazione di Sol. Veramente d’altri tempi, quanto a generosità.
Con i suoi quattro anni e mezzo e tanta volontà, ha tallonato Re e i suoi amici di sette anni, togliendosi, di tanto in tanto, anche il gusto di superarli.

Nonostante io fossi un po’ preoccupato che magari si sforzasse troppo, e gli chiedessi se volesse rallentare, Sol ha percorso quasi tutto il tragitto correndo mano nella mano con il suo papà, e l’unico momento in cui si è dovuto fermare è stato quando gli stavano scendendo i pantaloni.

La sua determinazione è stata tale che ha addirittura conservato un po’ di energia per tagliare il traguardo in accelerazione.

E che soddisfazione quando, all’arrivo, Sol ha consegnato la sua pettorina gialla e ha ricevuto come Re il pacco con le sorprese per i partecipanti alla marcia e la medaglietta-ricordo all’uscita.
Se le è proprio meritate.

domenica 17 maggio 2009

Variazioni Goldberg

Pensieri positivi in una bella domenica di maggio trascorsa con la famiglia e il fai-da-te.

Stanco delle notizie deprimenti in televisione e sui giornali, stanco delle dichiarazioni e proposte di legge che definire imbarazzanti o vergognose è poco, mi lascio trasportare dal clima finalmente primaverile e la mia mente corre al lontano giugno 1955, a New York.

Negli studi di registrazione della Columbia, 30esima strada, il 10, 14 e 16 giugno, un pianista canadese quasi ventitreenne stava per avviare la sua personale rivoluzione copernicana nel mondo della musica classica.
Glenn Gould stava incidendo le Variazioni Goldberg di Bach.

L’impressione fu tale che il debutto discografico newyorkese si trasformò, nel giro di ventiquattr’ore, in un successo planetario.
Non so se mi spiego: 24 ore nel 1955. Quando la stereofonia era una grande innovazione.
Un tam tam di radio e giornali. Niente fax, niente Internet, niente dirette satellitari. Solo la genialità di un pianista che ha fatto riscoprire al mondo intero la musica di Bach come nessuno l’aveva mai conosciuta prima.

Lo so: la passione per Glenn Gould è una mia debolezza.
Ognuno ha libri, dischi, eventi che segnano l’esistenza come pietre miliari. Per me le Variazioni Goldberg sono uno di questi.

Tutta la musica interpretata da Glenn Gould è come piace a me. Fa lavorare il cervello e arriva, al tempo stesso, dritta al cuore.

Il piacere di ascoltare le Variazioni Goldberg del 1955 è ancora maggiore di quello della seconda incisione, più matura e intimista, del 1981: non ha eguali, musicalmente parlando.

La freschezza e l’eleganza dei suoni è un po’ come lo sguardo di coloro che amiamo: lo conosciamo bene, ma ogni volta ci coglie con la guardia abbassata, ci colpisce e ci riempie di emozione e calore.

Scrivo questo post perché a volte non serve essere eroi, grandi scienziati o compiere imprese titaniche per regalare un po’ di gioia alle persone. Basta essere capaci di condividere la propria passione, senza nasconderla. Mi pare un pensiero positivo, semplice e solare, come la giornata di oggi.

È un vero peccato dover accostare al nome di Glenn Gould due date. Il pianista che si muoveva con trasporto e canticchiava mentre suonava ci avrebbe ancora dato tanto e mi ha sempre fatto pensare che davvero forse ci sia qualcosa di straordinario in molti di noi, che vale la pena di cercarlo e portarlo alla luce. E che anche i più grandi genii del nostro tempo hanno le loro debolezze, come tutti.

Credo che, schivo com’era, Glenn Gould non si sarebbe mai immaginato che la sua registrazione del primo preludio e fuga del Clavicembalo Ben Temperato di Bach sarebbe stata incisa su un disco di rame e spedita nello spazio a bordo della sonda Voyager, come “una delle più grandi conquiste dell’umanità”, da far conoscere ad eventuali altre popolazioni dello spazio interstellare.

Sto ascoltando il CD per l’ennesima volta mentre scrivo.
Come al solito, mi mette di buon umore mentre sento Si bemolle lavorare e i bambini zampettare, giocare e discutere per casa.
Mi sento bene e carico di energia per affrontare una nuova settimana, con tutti i suoi impegni.

sabato 9 maggio 2009

Nascite

A pranzo con due colleghi, ieri, si commentava l’esperienza della nascita dei rispettivi figli. Anche Desian ne ha scritto qualche tempo fa.

La gioia unica e grandissima, per ognuno diversa, è forse indescrivibile a parole.

Assistere ai parti di Si bemolle è stata un’esperienza intensissima, che ricorderò sempre e, se possibile, mi ha unito ancora di più a lei.
Il mio coinvolgimento durante i mesi della gravidanza, quando mi raccontava o mi faceva sentire i movimenti dei bambini nel pancione, ha trovato il suo culmine nella partecipazione, passiva, alla fatica del travaglio.
Mi ha permesso di condividere anche i momenti cruciali di cui solo una madre conosce il peso e la tensione, fino all’istante in cui ha donato un’esistenza autonoma ai nostri bambini.

Al di là delle emozioni, mi rendo conto che ciò che più ha segnato la mia memoria non sono i gesti o gli odori, ma la luce, i colori e qualche suono.

La sala parto di un noto ospedale milanese, divenuta in cinque anni un luogo familiare, l’ho vista, o meglio, vissuta, in condizioni diverse: una buia e trafficata notte di luglio, un silenzioso e luminoso pomeriggio di gennaio, un affollato e rumoroso pomeriggio di giugno. Contesti diversi per un miracolo identico e sempre nuovo: la vita di Re, Sol e Mi.

Si bemolle ed io siamo stati fortunati ad avere persone affidabili accanto. Presenze importanti, che a distanza di tempo ricordo distintamente, ma come parte dello sfondo.

Anche la presenza dei nostri familiari alla nascita dei bambini è stata diversa per ognuno dei tre. Niente schemi, nessun obbligo.

Gli amici cari e i parenti sono venuti a trovarci in camera nei giorni seguenti le nascite, ma la nostra scelta di non avvisare nessuno dell’ingresso in ospedale ci ha consentito una certa tranquillità dopo il parto, almeno dal punto di vista delle visite.

E sono felice che sia andata così, che diventare papà, una delle cose più pubbliche che esistano, sia stato innanzitutto una questione privata, intima, non un fatto sociale e d’immagine.

Il primo vero incontro con i miei figli.
Dopo tutto, sono loro ad avermi reso padre.
Io mi sono limitato ad accogliere l’invito e a ricambiare dedicando loro la mia vita.

Ancora oggi trovo stupefacente che la più grande delle responsabilità che un uomo possa assumersi divenga un fatto tanto naturale.
I tanti timori che suscita la decisione consapevole di aprirsi alla paternità si sciolgono nel gesto del primo abbraccio, al primo sguardo, al primo vagito.

A pensarci bene, non credo di essermi mai sentito tanto libero come quando ho preso in braccio i miei bambini per la prima volta, stando vicino a mia moglie.

Forse non lo sarò più.

domenica 3 maggio 2009

Tre uomini e una palla

Do minore e la sua famiglia di note hanno trascorso il weekend lungo al mare.

Le belle giornate invernali e, soprattutto, primaverili sono quelle in cui i bambini riescono a sfogarsi correndo liberamente in spiaggia, cosa che in estate, complici gli spazi angusti e il sovraffollamento della Liguria, non sempre è possibile.

Naturalmente, il gioco del calcio è uno dei passatempi più amati da Re e Sol.
L’entusiasmo dei bambini è aumentato quando hanno saputo da Si bemolle che avremmo acquistato una palla nuova, e ancor di più quando la scelta è caduta su una arancione (il colore preferito di Re). Ma non si aspettavano un pallone da ragazzi grandi.

Così, con un pallone arancione erede del mitico Tango, in uno spiazzo libero di spiaggia, Re e Sol hanno disputato tante avvincenti partite con il loro papà.
Hanno scelto i calciatori preferiti da impersonare, si sono scatenati in dribbling e azioni memorabili, commentate ampiamente durante la serata. Hanno gioito per i goal realizzati e protestato per quelli subiti.

Per Do minore è stato un tuffo nel suo passato di ragazzino, quando, nei pomeriggi liberi, trascorreva ore al parco con i suoi amici e un Tango a giocare a calcio, e le compagne di classe passavano a guardare di tanto in tanto.

L’emozionante differenza è che questa volta le ragazze a passeggio erano Si bemolle e la piccola Mi, illuminate dal sole che calava sul mare, e che in campo c’era un Sol concentratissimo per riuscire a controllare e tirare un pallone che gli arrivava quasi al ginocchio, nel tentativo di imitare i movimenti del suo fratello maggiore.

Do minore dubita che qualcuno abbia notato lo spettacolo offerto in spiaggia da tre uomini, una palla e un pubblico di due ragazze.
Ma si è veramente divertito.

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Online dal 10 aprile 2009