venerdì 23 ottobre 2009

Tempo dispari

Ho sempre avuto un debole per i tempi dispari in musica.
Per la loro maggiore vivacità, perché conducono ciclicamente ad un equilibrio stabile come sequenza di equilibri apparentemente fragili, in costante movimento. Mi rilassano senza annoiarmi.

Mi sento un tempo dispari anche caratterialmente. Diciamo un tre quarti: prevedibile, affidabile, ma con continue variazioni e piccoli scartamenti. Forse anche per la mancanza di senso dell’orientamento (faccio fatica perfino a nuotare diritto seguendo la linea blu a fondo piscina).

Quando ascoltiamo musica insieme e c’è un tempo dispari, Si bemolle lo riconosce. Non la rilassa, anzi, ne nota l’asimmetria e ciò le provoca una leggera ansia, difficile da spiegare ma percettibile, sotto traccia.

Si bemolle è un quattro quarti.
Elegante, regolare e solida come la colonna di un tempio greco.

È fantasiosa e creativa, premurosa e affettuosa, spiritosa e seria, aperta al cambiamento e curiosa, intelligente e onesta, veloce e capace di gestire ogni imprevisto o situazione.

Riesce sempre a inquadrare tutto in modo perfetto nella breve cornice del ritmo pari di ogni battuta. Per poi cominciarne subito un’altra.

Non conosce pause, Si bemolle. La musica della sua vita di oggi è coinvolgente e in costante tensione, come il Presto agitato del Chiaro di luna di Beethoven. Io assomiglio più all’Allegretto di quella stessa sonata (ovviamente sono molto più goffo e meno delicato).

Domani nella famiglia di note si festeggeranno undici anni di matrimonio fra Do minore e Si bemolle.

L’unione dei due ritmi in un unico spartito in cui i diversi tempi si sovrappongono ha portato frutto: a me servono quattro battute per tornare in sincronia con ciò che lei può fare in tre, ma le asimmetrie e i controtempi che si creano nel frattempo sono abbellimenti che vivacizzano, rendono la musica unica, la variano sempre, senza togliere sicurezza e tranquillità a chi ascolta.

Serve coraggio a mescolare due ritmi, ci vuole molta forza per fare la scelta controcorrente di Si bemolle, di rinunciare a brillanti opportunità di carriera per occuparsi esclusivamente, con passione e ferrea disciplina, dei bambini, della nostra casa e di me. È il mio punto di riferimento e non c’è riconoscimento abbastanza grande per l’esempio e l’amore che ci dà.

Ma adesso la ricorrenza mi proietta verso il futuro, l’orecchio è teso solo per ascoltare e lasciarmi condurre da una musica bellissima e nuova, un affascinante tempo in quattro quarti che non mi stanco di inseguire e a cui cerco di sovrappormi, sempre portando con me qualche asimmetria.

mercoledì 21 ottobre 2009

Quei bravi ragazzi e la tre volte vittima

Ho dovuto leggere due volte, stamane, l’articolo che parlava della violenza subita due anni fa da una minorenne ad opera di otto “bravi ragazzi”, sul sito del Corriere.

Ho dovuto ingoiare a fatica la rabbia per ciò che ho letto, per il modo in cui i compaesani dei "bravi ragazzi" ne hanno preso subito le difese, giustificandoli, qualcuno addirittura desiderando di essere più giovane per poterli imitare. Come se abusare di una ragazza fosse la cosa più naturale del mondo. Come se tutti dovessero pensarla come loro. Come se tutti fossimo come loro.

Devo ancora metabolizzare l’amarezza per la vita che questa ragazza potrebbe avere davanti a sé, segnata dal dolore e dall’umiliazione di vedere i responsabili della violenza protetti, compresi, aiutati, ora e in futuro, dalla loro gente, mentre lei è stata scaricata, emarginata, incolpata.

Solo un esponente delle forze dell’ordine, sui due intervistati, ha ammesso che “forse, dato quello che hanno commesso, proprio bravi ragazzi non sono”.

Non è la prima volta che si sente una storia del genere, purtroppo. E la tragedia è che forse ci stiamo abituando. Ma leggere certe cose fa sempre un brutto effetto.

Il problema è che ormai, al di là delle vicende giudiziarie, stiamo accettando di tutto. Non siamo più in grado di stabilire ed erogare una sanzione sociale. Di far sentire a chi delinque il peso della propria responsabilità, la gravità delle azioni compiute, la fatica necessaria a recuperare la fiducia e l’accettazione degli altri. Presupposto indispensabile per poter arrivare, come società, al recupero e al reintegro di chi sbaglia.

Finchè il crimine rimarrà, anche a colpi di precedenti impuniti e battute discutibili, accettato, finchè rubare, evadere le tasse, molestare, abusare, usare violenza farà addirittura “figo”, non si potrà fare nessun passo avanti, e gli unici a subire e soffrire saranno i più deboli, le vittime.
E saremo sempre di più a diventare più deboli.

Come questa ragazza, tre volte vittima, poiché, oltre a subire la violenza, non ha trovato nessuno che la ascoltasse, né qualcuno che la comprendesse e la proteggesse.

Non voglio adattarmi a tutto questo.
Perché come padre sono preoccupato sia per mia figlia, sia per i miei figli, che crescendo potrebbero incappare in un branco del genere.
Perché come uomo non voglio rassegnarmi a un simile imbarbarimento, alla scomparsa rumorosa di molti valori sociali.

Perché in questa torbida storia i bravi ragazzi non sono i “bravi ragazzi”, ma qualcun altro.
E questo post è un piccolo segno inadeguato per farlo sapere.

domenica 18 ottobre 2009

Circolarità

Domenica mattina. Weekend dedicato a risistemare alcune cose a casa. Eccomi intento a raccogliere i giochi sparsi da Mi nella sua camera e nel resto della casa. Ieri era toccato alla stanza dei due maschietti.

Come molti genitori sanno, rovistare nei portagiochi mette a dura prova anche i più pazienti. Non si sa mai che cosa possa venirne fuori, né quanto tempo occorrerà a rimettere insieme tutti i pezzi di costruzioni, giochi in scatola, carte, diavolerie varie.

Fra un’imprecazione trattenuta e uno scambio di battute con Si bemolle, ho trovato anche il tempo di sorridere rimettendo a posto giocattoli che sono ormai al loro terzo giro, che magari hanno attraversato l’Oceano Atlantico in aereo, e fra poco lasceranno la casa perché anche Mi sta diventando grande.

Ci sono tante azioni che ripetiamo indefinitamente. Ma la circolarità di rimettere a posto giocattoli che sono destinati ad essere abbandonati da bambini che crescono, mi dà più di altre il senso dello scorrere del tempo, come l’allargarsi del tronco di un albero per anelli concentrici, forse perché il gioco è così importante per loro.

Mi districo fra i bambini, che vedendo in giro giocattoli che non trovavano da giorni, ci si tuffano sopra, rendendo il compito di riordinare ancora più difficile. Provo, non sempre con successo, a tenerli a distanza. Li sgrido anche un po’.

Vedo come si divertono tutti insieme.

Non credo proprio che il mio tempo sia sprecato.

lunedì 12 ottobre 2009

Stupore

Venerdì pomeriggio in una “bella” zona di Milano. Vado straordinariamente a riprendere Re da un’attività e torniamo a casa a piedi, insieme a un paio di compagni di classe e la mamma e la nonna che li accompagnano.

Ci fermiamo tutti sul marciapiede, di fronte al semaforo rosso di un incrocio trafficato.
A un tratto, un’auto guidata da un giovane con un amico a bordo, che dovrebbe procedere nella direzione perpendicolare alla nostra, si ferma con calma prima della linea d’arresto.

Stiamo chiacchierando, poi ci accorgiamo della macchina ferma e pensiamo sia scattato il verde per noi. Controlliamo, ma il semaforo è ancora rosso.

Attimi di smarrimento. Noi adulti ci guardiamo con aria interrogativa. Anche i bambini cominciano a domandarci perché la macchina si sia fermata nonostante il semaforo verde.

Il tempo di alzare lo sguardo per osservare meglio la scena e vediamo il giovane alla guida che, accortosi dello stupore generale, ci indica con un cenno che, immediatamente oltre l’incrocio, si è formata una coda dietro ad un tram.

Quindi sarebbe stato inutile impegnare l’incrocio, solo per rimanere incolonnato lì in mezzo, intralciando la circolazione.

Insomma, una minima accortezza di buon senso, educazione e rispetto delle norme del codice della strada. Cose che tutti abbiamo imparato almeno a scuola guida e non dovrebbero sorprenderci.

Invece, tre adulti e perfino tre bambini di sette anni hanno assistito increduli alla scena dell’auto ferma al semaforo verde, formulando qualunque ipotesi di spiegazione, tranne che il guidatore, saggiamente, non volesse avanzare per non bloccare l’incrocio.

Ma come ci siamo ridotti ?!?

martedì 6 ottobre 2009

Rappresentanza

Ancora lessico.

Fino a che punto si può dare una (sacrosanta) rappresentanza “democratica” a tutte le opinioni? E come è possibile trovare il giusto equilibrio fra rappresentanza e capacità di sintesi e decisione, facendo delle discussioni un momento propositivo e non una interminabile canea in cui prevalga chi strilla più forte?

Tempo fa ho ricevuto l’incarico di scrivere una testimonianza su un lavoro di gruppo. I temi sono stati discussi in un incontro fra colleghi, poi ho cercato di riportare, valorizzandolo, il contributo di ciascuno. È servita più pazienza che abilità, e alla fine tutti sono rimasti soddisfatti.

Il lavoro è riuscito bene per tre motivi: non si trattava di una cosa importante (tutti preferivano essere collaborativi anziché provare ad imporsi), c’era una base di conoscenza comune da comunicare, le persone avevano fiducia nella mia capacità di produrre un documento che interpretasse fedelmente le loro intenzioni e consentisse di ottenere in fretta un risultato positivo.

Un esercizio di democrazia elementare, in cui tutte le opinioni sono state rispettate, che tuttavia mette in luce le debolezze dei sistemi di rappresentanza nella realtà.

Non disponiamo di meccanismi condivisi di aggregazione e classificazione delle diverse idee per raggiungere un compromesso produttivo.
Quando i problemi sono importanti e sono in gioco gli interessi particolari, “democrazia” spesso significa cercare di confondere gli altri, con dibattiti lunghi e cavillosi, per prevalere.

E se da un lato è vero che, per la necessità di agire, le decisioni devono essere prese da una persona sola o da un gruppo ristretto, dall’altro spesso manca (raramente a torto) la fiducia nell’onestà e nella capacità di perseguire gli interessi comuni o più meritevoli da parte di chi ci rappresenta.

Un po’ sconfortato mi chiedo: come si esce da questo circolo vizioso? Come si può riuscire a riappropriarsi di una rappresentanza autentica?

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Online dal 10 aprile 2009