domenica 28 febbraio 2010

Preistoria o attualità?

Per assecondare il desiderio dei bambini di ascoltare le canzoni di Bennato che hanno imparato con le recite a scuola, ieri sono stato in cantina a prendere lo scatolone delle vecchie cassette, per riversare su CD e poi nel computer la musica.

Dopo una serata di lavoro, da stamattina imperversano nella camera dei maschietti “Il rock di Capitan Uncino”, “L’isola che non c’è”, “Rockcoccodrillo”, “Il gatto e la volpe”. Alla loro hit parade hanno aggiunto “In prigione in prigione” e la delicata “La fata”, che Sol vorrebbe imparare ad accompagnare con lo xilofono che la zia gli ha regalato per il compleanno.

Si bemolle e io abbiamo ripescato tante cassette di artisti italiani messe da parte da tempo, da De Gregori a Vasco Rossi, a Zucchero, che ormai fanno parte del nostro bagaglio di cultura musicale, e con pazienza dovremo digitalizzarle, un po’ per piacere nostro, un po’ per farle conoscere ai bambini.

Così oggi pomeriggio, complici gli acciacchi di Sol che ci hanno impedito un weekend al mare, lo stereo del soggiorno suonava De Gregori e Vasco. I bambini ascoltavano vagamente interessati, ma non ancora ispirati dalle canzoni.

In compenso, Re, Sol e Mi erano molto incuriositi dall’oggetto-musicassetta, ai loro occhi un inedito residuato fossile di un’era geologica precedente, come le lire e i telefoni con il disco combinatore.
Si sono messi ad aprire le custodie, estrarre le cartine, infilare le dita nei buchi con le bobine, fino al momento culminante, un autentico universale dell’apprendimento umano: il tentativo di estrarre il nastro dalla cassetta con le dita (per fortuna fermato appena in tempo).

Noi grandi notavamo come, tutto sommato, queste canzoni abbiano ancora contenuti e un suono attuali, mentre la musica italiana precedente sembra molto più datata, oggi.

Che cosa ne penseranno i bambini? Archeologia musicale o successi senza tempo? Lo scopriremo fra qualche mese e qualche viaggio in macchina. Intanto, meglio sbrigarsi per evitare che tutti quei chilometri di nastro in giro per casa diventino una tentazione irresistibile!

domenica 14 febbraio 2010

A mind in New York

Pensavo di scrivere un post leggero sulle mie 52 ore trascorse intensamente a New York fra tanti interessanti incontri di lavoro, qualche momento di doveroso e piacevole shopping e poche ore di sonno.

Invece mi ritrovo a parafrasare Simon & Garfunkel e constatare amaramente la differenza di organizzazione fra Italia e USA.

Sì, perché le mie 52 ore sul suolo della Grande Mela hanno compreso la porzione newyorkese dello Snowmageddon (o più simpaticamente Snowzilla) che per giorni ha afflitto il nord est americano.
Si è trattato della nevicata più abbondante di sempre, che ha letteralmente messo in ginocchio alcuni Stati, privando le abitazioni di elettricità, acqua e linee telefoniche, e interrompendo a lungo i collegamenti via terra e aria. Ancora oggi ci si pone il problema di come smaltire i cumuli di neve alti metri.

A New York sono caduti una trentina di centimetri in poche ore, quindi non una quantità enorme. Abbastanza, però, da poter creare disagi seri a una metropoli così attiva e da impedirmi i rapidi spostamenti previsti nello stato vicino, in cui le nevicate sono state più abbondanti.

Niente paura: le autorità cittadine avevano pianificato e annunciato con congruo anticipo la chiusura delle scuole nel giorno della nevicata, avevano sollecitato le aziende a far utilizzare ai dipendenti il telelavoro (una vera manna dal cielo, magari lo avessimo anche noi!), in modo da agevolare concretamente le famiglie, e avevano cominciato a spargere sale per le strade dalla sera prima, predisponendo per tempo i mezzi spalaneve nei punti strategici.
Infine, hanno suggerito alla popolazione di affidarsi al trasporto pubblico, lasciando le auto private parcheggiate a casa.

Indovinate un po’? La gente ha seguito il consiglio, con il risultato che, nonostante una nevicata potente, consegne, mezzi pubblici e taxi circolavano quasi normalmente. Insomma, a Manhattan business as usual, anche sotto la neve. Le persone hanno camminato per strade e marciapiedi in condizioni più che accettabili, solo meno velocemente del solito.

Le uniche complicazioni per il mio lavoro sono state i frenetici cambiamenti di agenda, e non ho potuto evitare un impietoso confronto con le nevicate prenatalizie di Milano. Quanta differenza fa una buona dose di organizzazione e senso civico!
Inutile dire in quale prevedibile imbarazzo mi sia trovato quando ho dovuto raccontare che in Italia con dieci centimetri di neve si paralizza tutto e che, piuttosto che lasciare la macchina ferma, la gente preferisce fare, e imporre agli altri, ore fermi in coda, generando solo nervosismo, inquinamento e inefficienza.

Così mi pare giusto chiudere con i versi di “A heart in New York”:
New York, you got money on your mind
and my words won't make a dime's worth a difference,
so here's to you, New York.
E ammettere che, come molti bei posti in Italia, Central Park imbiancato dalla neve ha un certo fascino.





domenica 7 febbraio 2010

La forza del consenso

A tutti piace sentirsi compresi, approvati, e far parte di un gruppo. È naturale. Ciò provoca una tendenza all’omologazione, che non è di per sé una bella cosa, ma la cui ragione d’essere si può capire facilmente.

È da molto che circola l’idea che il consenso dia una forza straordinaria a chi ne gode. Politici che sostengono di poter fare tutto ciò che vogliono, senza reali dibattiti, perché hanno la maggioranza, e fin qui niente di strano, ma, soprattutto, perché hanno il consenso. Come se il fatto di rappresentare legittimamente la maggior parte degli elettori (non necessariamente della popolazione) potesse giustificare comportamenti e situazioni incompatibili con dichiarazioni, leggi, istituzioni e consuetudini civili e democratiche.

Ma non solo. L’atteggiamento, purtroppo sempre più diffuso, di approvazione verso la furbizia, la ricerca della scorciatoia, dell’espediente per prevaricare, imbrogliare, avvantaggiarsi o sottrarsi agli obblighi basilari della convivenza civile (a cominciare dall’educazione dei figli o dal pagamento delle tasse) sta minando dalle fondamenta la nostra società.
Al grido di “così fan tutti”, siamo sempre più intossicati, assuefatti e pronti a giustificare qualsiasi cosa, dal posteggio in doppia fila, allo sfruttamento del lavoro nero, all’evasione fiscale, alla protezione di figli che non studiano, si comportano male e addirittura commettono crimini. Tanto, c’è l’approvazione della moltitudine che sarebbe pronta a fare lo stesso, a sostenerci.

La Costituzione e l’etica “materiali” che prendono il posto di quelle vere stanno introducendo nel nostro paese una legge del più forte che indebolisce tutti, tranne pochi.

Io credo sinceramente che, a costo di sembrare degli stupidi, i genitori abbiano un compito difficilissimo da affrontare: quello di spiegare ai propri figli che i modelli che vengono loro proposti e che sembrano vincenti sono modelli distruttivi, di sé e della vita di chi li circonda.

E che l’unico modo per provare a costruire qualcosa di solido è impegnarsi e comportarsi bene, come minimo perché, se anche non riuscissero a comprendere altro che il proprio tornaconto, non potrebbero sempre contare su facilitazioni, esenzioni, protezioni e immunità.

Proprio non mi riesce di capire come mai alcuni genitori trasmettano ai figli un messaggio negativo e diseducativo, di totale deresponsabilizzazione, che alla fine si riassume in “non importa che cosa combini volontariamente, tanto ci sarò sempre io a proteggerti e a sistemare le cose, e sarà qualcun altro a subirne le conseguenze”. E come mai la voce degli altri, che non sono d’accordo, sia così difficile da far sentire.

Dopo avere letto questo post di M di MS, Si bemolle e io ci sentiamo meno soli, a nuotare controcorrente.

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Online dal 10 aprile 2009