Dopo una pausa piuttosto lunga, mi preparo ad un nuovo, breve, viaggio di lavoro negli Stati Uniti.
Ho avuto la fortuna di visitare vari paesi del mondo in gioventù, e quindi mi sono tolto la voglia di viaggiare intensamente, almeno per qualche anno ancora.
Ho sempre trovato curioso che nell’era delle tecnologie avanzate, delle videoconferenze, di Internet e Skype, la presenza in ufficio in date e ore improbabili e gli spostamenti fisici, meglio se da un continente all’altro, siano ancora ritenuti così indispensabili. È vero, in alcuni casi sono molto utili, soprattutto quando è richiesto un contatto umano diretto e frequente, ma quasi mai necessari.
Così, sentendomi sempre molto in colpa verso la famiglia, ho fatto tutti i viaggi davvero utili, soprattutto all’estero, organizzandomi giornate di lavoro intensissimo pur di rendere il più brevi possibile le assenze.
Ma il tarlo del perché il viaggio di lavoro sia ritenuto dai più un piacere o un privilegio continua a rodermi.
Forse perché salire e scendere dagli aerei fa status symbol? Mah.
Forse perché è un modo di mostrare che l’azienda investe su di te, e non sul tuo collega?
Forse le società preferiscono spendere un budget di viaggi che domani potrebbe essere tagliato anziché aumentare gli stipendi dei dipendenti di una frazione di quel budget, ma indefinitamente.
Forse i lavoratori gradiscono perché pensano di andare qualche giorno a farsi una specie di vacanza in alberghi migliori di quelli che pagherebbero di tasca propria, lontani dai doveri e dai controlli quotidiani, in posti che altrimenti non visiterebbero.
O forse dietro a tutto questo c’è il miraggio, la falsa oasi nel deserto.
Una rincorsa continua di nuove destinazioni, mete e obiettivi, per non dover mai fermarsi un momento a lasciare sedimentare le nostre conoscenze e esperienze.
Per non dover fare i conti con l’imperfezione e i limiti della nostra vita professionale e personale, non dover accettare con serenità che si possa essere felici anche con qualche difetto.
Per non crescere mai. Per non accettare che desiderare quello che si può avere e si può essere ci possa bastare, e che per ottenere di più dobbiamo sforzarci e migliorarci. Non basta un volo, magari low cost.
E’ vero: da molti dei miei viaggi, ho imparato tanto e sono contento di averli fatti. Mi hanno aiutato a scoprire aspetti nuovi di me stesso e del mondo. Ad esempio, una New York deludente da giovane turista è divenuta affascinante una volta riscoperta da adulto professionista.
Ma sono sempre stato più contento di quello che ho trovato tornando alla mia casa e al mio lavoro, condividendo esperienze e impressioni con chi mi aspetta ed è il mio punto di riferimento.
Per me il fascino maggiore del viaggio di lavoro (all'estero) è legato alla possibilità di vedere "dal vero" come vivono e lavorano negli altri Paesi. Purtroppo non ne ho mai avuto la possibilità e la cosa mi incuriosisce molto.
RispondiEliminaCerto, credo che mi farebbe piacere se si trattasse tipo di un viaggio o due all'anno. Viaggiare di più mi farebbe sentire sia in colpa verso la mia famiglia sia un po' troppo sola.
Il mio sogno sarebbe poter fare un'esperienza lavorativa all'estero, tipo anno sabbatico, e potermi portare dietro la mia famiglia.
Un saluto
Chiara
Ma sì, è come dici tu.
RispondiEliminaViaggiare per lavoro all'estero ti libera dall'obbligo della presenza fissa in ufficio, tanto invidiata dai colleghi che non possono uscirne mai e che vedono nei commerciali dei fortunati. E poi è bello tornare e condividere. Quando tornavo dai miei viaggi i miei si mettevano comodi sul divano e io raccontavo tutto per filo e per segno.
Lanterna: guarda, a me dei viaggi di lavoro (a parte gli aspetti "tecnici" della raccolta di informazioni professionali) piace il contatto con la gente vera: parlare con i commessi dei negozi, i taxisti, i lavoratori delle aziende e dei ristoranti, non solo con manager e finanzieri. Questo con una videoconferenza o una telefonata non si può proprio fare, ma una o due volte l'anno basta. Ciao.
RispondiEliminaM di MS: Adesso ci sono i bambini che vogliono sentire qualche racconto di viaggio (e magari ricevere un regalino). Appena ci si chiude la porta di casa alle spalle, se ne sente già la mancanza.