domenica 30 agosto 2009

Padre prosaico

La lunga estate sta per terminare e casa mia non sarà più riempita dalla quiete irreale delle mie settimane milanesi di solitudine. Sette settimane di solitudine, in mani più abili potrebbero diventare materiale letterario di prim’ordine.

Con settembre ricomincerà la routine della famiglia di note, e mi è venuta in mente una piccola riflessione sulla relazione fra presenza, gesti e rapporto padre-figli.

Credo che il legame fra i miei figli e me si alimenti grazie al tempo passato insieme, al modo di stare insieme, alle esperienze condivise. Intensamente e nella massima quantità possibile.
E che vivere e lavorare per loro, o divertirmi con loro, non siano gesti di liberalità e di elevazione dello spirito, bensì elementi definitori e ineludibili di un ruolo di padre non solo biologico.

Mi considero un uomo romantico, ma non mi è ancora capitato di pensare che fare la doccia ai bambini, giocare al calciobalilla con i maschietti o portare la piccolina a spasso per mano in spiaggia, creino un profondo legame mistico tra le nostre anime. O che recuperare uno dei bambini dopo una bevuta d’acqua salata in mare veicoli il messaggio implicito che il papà sarà sempre presente per sostenerlo e tirarlo fuori dai pasticci se necessario.

Semplicemente, in una famiglia molte cose sono necessarie e hanno una utilità evidente. Farle, spesso, è anche piacevole, senza bisogno di trovare significati nascosti o trascendenti: ho desiderato ardentemente i miei figli ed è giusto che poi me ne occupi per quanto sta nelle mie possibilità.

Secondo me, questo non significa togliere poesia alla paternità, ma al contrario illuminarla di consapevolezza, nella convinzione (illusione?) che vi sia una bellezza semplice anche nella prosa concreta di ogni giorno.

Il messaggio di attenzione e premura che arriva dal compiere piccoli gesti tangibili ogni giorno, dalla volontà di essere vicini, è forte e comprensibile. L’amore e la fiducia si nutrono anche di queste cose.

Nei ricordi e nell’immagine che ho dei miei genitori, e che spero i miei bambini abbiano di me, non sono solo i singoli episodi straordinari a rimanere fissati, ma anche lo scorrere della vita quotidiana con i suoi aspetti ripetitivi, in cui molto di noi stessi si rivela.

Così, senza sminuire le intense sensazioni provate in situazioni speciali, e senza volermi privare di alcuna di queste gioie, non rincorro a tutti i costi l’emozione nei gesti ordinari.
Il calore di una mano stretta andando a scuola, la luce di un sorriso, gli sguardi cupi o un broncio dopo un rimprovero sono, per fortuna e per scelta, i compagni di viaggio di un papà prosaico, che cerca di essere presente facendo del suo meglio.

2 commenti:

  1. e che a quanto pare fa un egregio lavoro.
    Anche io ho un ricordo molto bello della quotidianità della mia infanzia, mio padre lavorava sotto casa e c'era sempre, per me era importante. Non so i miei figli saranno altrettanto fortunati ma ci proviamo.

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  2. Renata, secondo me in questo la volontà conta molto più della fortuna. Mio padre aveva pochissimo tempo libero, ritmi irregolari e si spostava spesso. Non ne ero contento, ma sapevo benissimo di essere la cosa più importante per lui, e lui trovava sempre un momento per me. Mia madre era sempre con noi.
    Sto provando a dare alla mia famiglia un tipo di presenza più assiduo e regolare per reazione al mio vissuto, ma sinceramente penso che, per un genitore, rendersi conto della situazione e provare ad affrontarla sia già un po' riuscirci.

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Online dal 10 aprile 2009