giovedì 12 novembre 2009

Concetto monetario, concetto affettivo

Dopo alcune conversazioni recenti, mi sto ponendo con insistenza la seguente domanda.
Perché se un padre passa 15 ore al giorno fuori casa per lavoro è un professionista scrupoloso e da ammirare, se passa 8 ore alla settimana a schiantarsi di squash, spinning e a farsi qualche aperitivo con gli amici è una persona che dedica del doveroso tempo a se stesso, e se invece cerca ostinatamente di ritagliarsi degli spazi decorosi per godersi sua moglie e i suoi figli è un poveretto che non sa stare al mondo, o, nella migliore delle ipotesi una sorta di fanatico integralista della famiglia?

Una risposta che ho trovato è che, anche nei rapporti personali più stretti, il metro per il giudizio sia diventato monetario, e non più affettivo. Il numerario non è, magari, il denaro in senso stretto, quanto piuttosto l’ora di equitazione, la gara di go-kart, la scuola materna esclusiva che insegna conversazione in giapponese, la cena di coppia “obbligatoria” fuori, spero di avere reso l’idea.

Attenzione, non trovo nulla di sbagliato in nulla di tutto questo, anzi sono tutte belle cose, solo non mi pare nemmeno che vi sia qualcosa che non va nella scelta di stare con la famiglia. E non penso che il “quality time” sia necessariamente stare poche ore l’anno ai vari saggi dei figli (anche per controllare se gli investimenti hanno fruttato): anche provare a leggergli una storia prima di dormire, o stare ad ascoltare quello che hanno fatto durante la giornata, può andare bene.

E come mai, se qualcuno ha dei problemi di scarso impegno, motivazione o rendimento sul lavoro, la questione è grave, mentre se considera i propri bambini un peso da sopportare di malavoglia fino all’ora della nanna, si tratta di preservare i propri spazi vitali per essere uomini (ma forse anche donne) realizzati? E immediatamente, come per molte debolezze comuni, che a volte fanno anche comodo, scatta una solidarietà automatica, fra co-vittime di una prole che rende meno liberi?

Certo che rende meno liberi, sono i genitori che liberamente scelgono se fare i figli, poi però dovrebbero avere voglia di occuparsene non solo materialmente, ma anche affettivamente, ed è un vincolo molto serio.

Non sono abituato a dare giudizi sui comportamenti delle altre persone, se non richiesti, e soprattutto in campi come la genitorialità non credo proprio che esista un modello corretto predefinito.
Però comincio ad essere stufo di gente che rompe le uova nel paniere agli altri, sentendosi in diritto di pontificare e criticare, provando a mettere chi fa scelte lievemente controcorrente nell’angolo di una società che, forse anche per l’involuzione di certe basilari relazioni interpersonali, peggiora rapidamente.

7 commenti:

  1. Forse il diverso approccio è proprio nel fatto di considerare i figli come persone, legate ai genitori da un legame forte, impegnativo e arricchente, oppure una della tante "cose" che un uomo deve fare, per acquisire lo "status" di persona matura. Forse c'è anche un diverso approccio da parte delle madri, di queste creature, nello spazio che, fin da subito, "lasciano" ai papà perhè la consapevolezza del legame coi figli prenda piede. (Nel libro di Marilde, la solitudine della madri, c'è un bel capitolo su questo). un saluto solidale

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  2. Apprezzo veramente molto questo post. Fortunatamente mio marito ragiona proprio come te, dimostrandolo nei fatti.
    Recentemente ho partecipato ad una conversazione su Blimunda (http://www.blimunda.net/?p=2676), in cui sono stata una mosca bianca. Anche io sono piuttosto stufa di leggere di queste donne/mamme preoccupate di non avere più tempo per se stesse dopo la nascita di un figlio (naturalmente la cosa tocca più le madri, ma non solo). Trovo così miope ragionare sulla genitorialità in modalità "dare-avere", secondo principi efficientistici proprio inadeguati. La felicità di stare insieme ai figli, di afre qualcosa con loro, non dovrebbe essere un "guadagno" immediato, tangibile? Perchè invece viene percepito come inferiore alla libertà (sacrosanta) di fare ciò che si vuole

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  3. Come al solito, un post molto denso di spunti. Provo a prendere qualche appunto.
    Più o meno liberi: mi piace pensare che fare figli, pur essendo certamente faticoso e una responsabilità, sia anche una grande risorsa che rende la libertà "diversa", una cosa altra. Ecco, non credo che fare figli renda "meno" liberi. Meno tempo per sé, dicono tutti, mentre la questione è appropriarsi dell'idea che i figli (così come mille altri impegni simili o equivalenti) ti danno la libertà nuova di vivere un "tempo del sé" diverso. Abbiamo una strana idea di libertà: quella di fare un po' il cavolo che ci pare e i figli diventano un impedimento invece che una pienezza.
    Ecco, la libertà la vedo come capacità di vivere la vita che abbiamo riuscendo a governarla invece di subirla.
    E hai ragione da vendere sul non dare giudizi: sempre parlare per sé cercando di condividere contenuti, esperienze, difficoltà. Ciao.

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  4. Laura.ddd, M di MS: Grazie della vostra solidarietà e apprezzamento. E' bello trovare altri genitori con cui condividere il piacere di stare con i figli e anche un piccolo sfogo ogni tanto. La storia dei ruoli da interpretare semplicemente per essere omologati alle abitudini prevalenti e per essere apparentemente felici agli occhi degli altri mi ha stancato. A presto.

    Desian: Quella sul tempo è una riflessione interessante, non solo in termini qualitativi, ma anche quantitativi. Da quando sono padre ho molto meno "tempo per me", ma ho la sensazione che il mio orizzonte temporale si sia allungato indefinitamente. Come se la vita dei miei figli e il loro futuro fossero anche fisicamente il mio futuro, un tempo che si estende molto al di là di quello che immaginavo per la mia vita, prima di avere bambini. Ciao.

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  5. mi fa riflettere molto tutto ciò. rifletto che qualunque opinione o sensazione esprimiamo può sempre essere omologata in qualcosa, dal momento che è così difficile ascoltare senza giudizi. La dolcezza degli affetti che vuol dire tutto = melassa (mea culpa, sono la prima!), la stanchezza e l'insofferenza = egoismo , le scelte diverse dal branco = un poveretto, e così via potremmo continuare all'infinito. siamo squallidi nelle nostre interazioni sociali, mossi più dal desiderio di sentirci fighi/inseriti che dai nostri veri desideri. la cosa diventa insopportabile quando, come dici, si pontifica e si aggredisce. io per esempio mi sento spesso come una che vorrebbe fare un po' di più il cavolo che mi pare, ma mica per questo prendo Desian a maleparole perchè mi ha offeso. non so se ho reso l'idea. :)

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  6. mi reinserisco in questa discussione che mi sembra cosi' importante: penso che lo "squallore" che cita VM nasca da un modo culturalmente povero di guardare al mondo, che utilizza degli stereotipi preconfezionati per evitare di analizzare o per lo meno accettare la complessità delle persone e delle loro storie, cosi' come delle nostre. Molto piu' facile considerare nemico chi fa scelte diverse dalle nostre, piuttosto che mettersi in dialogo vero, che ci implicherebbe di andare anche a fondo di noi stessi e delle nostre scelte. E, come diceva Mamma3D da lei, quella dei genitori in rete è solo la punta dell'iceberg; il problema è che è sempre piu' difficile trovare spazi per il dialogo sincero e costruttivo, in tutti gli ambienti e a tutti i livelli. Non dobbiamo adattarci a questo.

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  7. VereMamme, Laura.ddd: conoscere noi stessi abbastanza profondamente da capire quali siano i nostri veri desideri, come e fino a che punto possiamo realizzarli, e accettarci con i nostri limiti è un passaggio difficile. Sicuramente, se riusciamo a compierlo, può aiutare a relazionarci con gli altri in modo più sereno. Ma l'arroganza, la maleducazione, la mancanza di rispetto e l'assuefazione alle violenze a cui sempre più spesso assistiamo non hanno giustificazione, secondo me. Ho già avuto modo di esprimere il concetto in passato e mi fa piacere trovare una condivisione sempre più ampia di questo sentimento. Ciao.

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Online dal 10 aprile 2009