sabato 4 settembre 2010

Paul Auster and I

Quest’estate sono riuscito a leggere con soddisfazione, per quantità, qualità e varietà.
Per quanto riguarda la prosa, due sono gli autori a cui mi sono principalmente dedicato (e non ho ancora finito): Paul Auster e Philip Roth. Se del secondo è già stato detto tutto il bene possibile, incluso che si tratti del moderno erede di Dostoevskij, e condivido i giudizi positivi, mi sono scoperto, con grande sorpresa, dipendente dal primo.
Dopo una pausa di anni dalla lettura della Trilogia di New York, mi sono dedicato a Il libro delle illusioni, Follie di Brooklyn, La musica del caso. Ho attaccato da pochissimo Leviatano e sono già risucchiato nel gorgo.
Non so bene perché. Saranno i personaggi complessi e realistici, pieni di sfaccettature e ombre, mai completamente definiti, per lasciare spazio all’immaginazione e stimolare la riflessione, per lasciare un vuoto piccolo, ma ampio quanto basta, perché la fantasia e l’interpretazione del lettore possano muoversi entro il confine immaginifico tracciato dall’autore. O forse saranno le vicende che oscillano fra una concretezza quasi naturalista e intrecci talmente fantasiosi da sfiorare l’assurdità e in cui il caso gioca sempre un ruolo cruciale.
O forse ancora, la risposta al perché i libri di Paul Auster mi attraggano così magneticamente, anche quando non si tratta di capolavori, la dà l’autore stesso, mettendola sulle labbra di uno dei protagonisti di Leviatano, scrittore, a proposito del possibile nesso fra le esperienze vissute e i propri romanzi: “Poi, liquidando l’argomento una volta per tutte, si lanciò in una diatriba comica contro i tranelli della psicoanalisi. Alla fin fine, niente di tutto questo ha importanza. Il solo fatto che Sachs abbia negato l’esistenza di un nesso non significa che non ci fosse. Nessuno può dire cosa dà origine a un libro, tantomeno la persona che lo scrive. I libri nascono dall’ignoranza, e se continuano a vivere dopo che sono stati scritti, lo fanno solo nella misura in cui sfuggono alla comprensione” (pagg. 44-45).
Mi piace divorarli, i libri, quindi è frequente che, a distanza di tempo, i dettagli delle storie, i nomi dei personaggi, i luoghi, mi scompaiano dalla memoria, ma il segno di fondo, quello che un romanzo lascia dentro in profondità, mi è sempre rimasto fin da ragazzo. L’estate 2010 me la ricorderò per un bel pezzo. E la mia Auster-dipendenza sarà placata dai suoi numerosi titoli ancora da leggere.

2 commenti:

  1. bello scoprire un autore e sapere di avere una marea di titoli su cui buttarsi, io cerco semre cmq di lasciar correre uno o due libri tra due opere dello stesso autore, fortunatamente soffro di insonnia e quindi i tempi non sono poi' cosi' lunghi. Paul Auster e' veramente particolare, roth e' bravo, ma P.A. lo leggi anche solo per capire dove va a parere, certo non per capire chi era l'assassino, ma per trovare il nesso tra le varie cose non scritte non esplicitate, quindi prima devi percepirle e poi collegarle.
    suona un po' esterofilo e banale ma ogni volta che mi butto su questi autori sento un po' la pochezza della narrativa italiana, come del resto del cinema, o forse non trovo semplicemente gli autori giusti. CHI E' IL PAUL AUSTER italiano? basta dire che se chiedo chi e' lo STIEG LARSSON italiano rispondono tutti Faletti, al che ribatto "ve lo meritate Faletti ve lo meritate" ....

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  2. Papex: benvenuto. Grazie del commento. Ci sono anche bravi autori italiani, ma il Paul Auster o lo Stieg Larsson italiani non esistono, come non esistono quello inglese, francese o tedesco. Per questo alcuni autori diventano unici, dei giganti della letteratura mondiale. Certo bisogna riconoscere che l'aria di Newark fa straordinariamente bene alla scrittura. A presto.

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Online dal 10 aprile 2009