martedì 17 agosto 2010

Il bambino filosofo: amore e legge

Da Alison Gopnik, Il bambino filosofo, Bollati Boringhieri, 2010, pp. 219-231.
Un libro che offre alcuni validi spunti di riflessione.

«Sin dal momento della nascita, i bambini sono empatici, si identificano con gli altri e capiscono che i propri sentimenti sono condivisi dagli altri. Di fatto, si accollano alla lettera i sentimenti altrui. A un anno, i bambini capiscono la differenza fra azioni intenzionali e non intenzionali, e si comportano in maniera realmente altruistica; a tre posseggono un’etica di base già sviluppata in merito all’affetto e alla compassione.
Allo stesso tempo, capiscono le regole e cercano di seguirle. La comprensione e l’uso delle regole consentono di superare gli istinti empatici innati, e tuttavia le reazioni empatiche sono anche un motore di cambiamento delle norme. L’empatia e il rispetto delle regole, l‘amore e la legge si combinano per dare luogo alla moralità tipicamente umana.

L’empatia è strettamente connessa all’attaccamento: emerge per la prima volta nelle interazioni faccia a faccia fra i bambini e le persone che stanno loro vicino. L’amore fra genitori e figli è caratterizzato da una speciale intensità morale. Il solo fatto di decidere di occuparsi di un bambino in particolare e non di un altro lo rende automaticamente il fulcro della nostra preoccupazione morale. I genitori sacrificano sistematicamente il sonno, il tempo, la felicità, persino la vita per i figli. Una ricerca sull’attaccamento dimostra che i bambini piccoli sviluppano un profondo legame con pochi caregiver particolarmente amati.
Le mie cure immediate, profonde e altruistiche verso un determinato bambino, e il suo affetto per me, sono radicate in alcuni imperativi evolutivi. I bambini, così esposti alle difficoltà della vita, per la loro stessa sopravvivenza dipendono totalmente dall’amore incondizionato degli stretti congiunti. Ma, a prescindere dalle sue origini e motivazioni, questo forte legame è il massimo modello di sollecitudine morale. Non è una coincidenza che i grandi maestri di morale affrontino proprio il tema dell’amore.

Lo slogan utilitaristico del “massimo bene per il maggior numero di persone” e quello deontologico del “non fare del male” sono i due lati della stessa medaglia. Altro non sono che elaborazioni della “regola d’oro” (non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te, ama il tuo prossimo come te stesso). Un’attitudine morale fondamentale in atto persino nei bambini più piccoli.»

P.S. non sono d'accordo con l'autrice, quando sostiene che i genitori sacrifichino sistematicamente la felicità per i figli. È vero però che a volte si fa molta fatica.

martedì 10 agosto 2010

Indignazione

Le reazioni “di pancia” sono importanti: generate da ciò che vediamo, sentiamo, leggiamo, dalla comprensione di ciò che accade intorno a noi, ci danno un segnale naturale su come porci in relazione con gli altri, con il mondo. Ed è bene che, pur essendo il frutto di un processo di educazione e maturazione diverso per ognuno di noi, sgorghino nel modo più spontaneo possibile.

L’indignazione è uno di questi sentimenti. Uno fra i più profondi, perché ci dovremmo indignare di fronte a situazioni particolarmente gravi: “soprattutto per cosa che offende il senso di umanità, di giustizia e la coscienza morale”, ci spiega il sito treccani.it. Cioè per qualcosa che secondo noi non ha diritto di abitare il consesso civile.

Le persone che suscitano indignazione lo fanno volontariamente, nel senso che commettono scientemente azioni deprecabili, ma non desiderano certo razionalmente essere oggetto di sdegno e riprovazione. Anzi, per quanto spudorate possano essere, credo che farebbero volentieri a meno di provocare l’indignazione di chi li circonda.

Quest’estate, fra polemiche e indagini, misfatti e coperture, sospetti e inganni, insulti e violenze, indignazione è diventata una delle parole più ricorrenti. Sui giornali, in televisione, è spesso sulle labbra di qualche politico od opinionista che ci suggerisce per che cosa indignarci e per cosa no. Naturalmente, sempre per qualche malefatta dell’avversario di turno, trascurando e nascondendo le proprie, di solito non meno numerose e meritevoli di suscitare il nostro sdegno.

La novità è che si vorrebbe suscitare a comando anche l’indignazione, forse perché, inflazionando l’uso del termine e della reazione, il suo valore reale diminuisca sempre di più nel tempo.
Gente che ha perso faccia, credibilità e vergogna da tempo vorrebbe fare a suo comodo la claque dell’indignazione, alla maniera in cui, nelle sit-com anni ’80 si sentivano le risate registrate del pubblico, che così verrà anestetizzato e reso fazioso anche in questo.

Mi verrebbe da dire che l’indignazione è mia e la gestisco io. Ma le battute servono a poco, visto che la lezione degli scandali recenti di cronaca è che, purtroppo, rischiamo di ritrovarci un paese con i valori di fondo completamente ribaltati.

Allora preferisco fare un passo indietro. Guardare le cose con i miei occhi. Pensare con la mia testa, cercando il dialogo e il confronto con gli altri, ma rifiutando sempre più fortemente di aderire acriticamente e in profondità a qualsiasi ideologia, struttura o visione del mondo, pur di riuscire a mantenere un minimo di integrità e di coerenza con i valori che, negli anni, posso avere sviluppato e declinato in vari modi, ma mantengono una salda radice comune. E, naturalmente, quando è il caso, mi indigno.

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Online dal 10 aprile 2009