lunedì 31 maggio 2010

Perfetto

Capita a volte di vivere un momento perfetto, di quelli in cui tutti gli elementi vanno al loro giusto posto, incastrandosi in un mosaico di naturale armonia. Di quelli che riconosci subito, e poi devi solo godere e ricordare.
Capita di trovarti, presto un sabato sera, in riva al mare. Il tempo è spettacolare. Il posto bellissimo. La gradevole brezza versiliana accarezza appena i capelli delle donne e i tuoi, forse un po’ troppo lunghi, e porta gli odori di una primavera, quest’anno, in ritardo.
Al bar dello stabilimento balneare in cui si svolge la festa arrivano tante persone. Tante, non troppe. Gli amici di una vita e quelli più nuovi, per festeggiare una bella coppia di sposi che si guardano felici. Lo sposo l’hai conosciuto il tuo primo giorno di scuola. Percepisci l’affetto e l’amicizia che lega tutti quando noti i visi distesi degli adulti chiacchierare fra loro, tranquilli, mangiare dell’ottimo cibo, bere e sorridere sereni, rilassati. Ognuno con i suoi spazi, i suoi tempi. Come se tutti sentissero che la serata è perfetta.
Vedi i tuoi figli che si divertono con i figli dei tuoi amici, ma stanno bene anche con gli adulti. Le loro sagome corrono verso il mare, sulla passerella che divide due distese di sabbia perfettamente pettinata, gli ombrelloni chiusi. Si fermano a osservare i cuochi che preparano la carne sulla griglia. Tutto è un piacevole spettacolo per loro.

Io mi sono goduto ogni istante di questa bellissima serata e mi è tornata in mente una poesia, “Il rimorso” di Borges (da “La moneta di ferro”, 1976, Adelphi), che ho letto nell’estate del 1988 ed è subito diventata una delle mie preferite. Un monito su ciò che avrei voluto evitare nella mia vita, non per vivere “ogni giorno come se fosse l’ultimo” (che grande sciocchezza!), ma per cercare sempre un progetto da costruire, qualcosa che potesse riempire di senso e magari gioia la mia esistenza.
A volte il percorso per arrivare al traguardo è tortuoso, a volte occorrono fatica e coraggio per lasciare il sentiero di minore resistenza e imboccare una strada diversa, che può portare alla pienezza di mete nuove. È bello partecipare al successo di chi osa e riesce.

Ho commesso il peggiore dei peccati
che un uomo può commettere. Non sono stato
felice. Mi travolgano e disperdano,
spietati, i ghiacci dell’oblio. I miei
mi avevano creato per il gioco
azzardato e stupendo della vita,
per la terra, per l’acqua, l’aria, il fuoco.
Li ho delusi, Non si compì la loro
giovane volontà. Non fui felice.
Mi applicai alle caparbie simmetrie
dell’arte, che congegna vacuità.
Ereditai audacia. Non fui audace.
Non mi abbandona. Mi sta sempre accanto
l’ombra di essere stato un disgraziato.

Al mio fraterno amico C., che si è messo in gioco completamente e di cui sono orgoglioso: non ti sei arreso all’inerzia che protegge dai rischi ma toglie la possibilità di essere felice. E naturalmente alla sua I. Grazie per questo momento perfetto.

domenica 23 maggio 2010

Socialmente accettabile

Crisi e pericoli mettono i politici nella condizione di poter assumere decisioni drastiche anche estremamente impopolari, che diventano socialmente accettabili, perché la gravità delle conseguenze nel caso in cui tali misure non venissero applicate è facilmente comprensibile.

Di solito, i provvedimenti presi in queste circostanze hanno due caratteristiche: sono semplici da capire nella loro essenza e nella loro finalità e contengono un elemento, almeno apparente, di giustizia o buon senso.

Superare positivamente una crisi può aumentare il livello di coesione sociale, favorendo la condivisione di valori su cui fondare una ripresa e fornendo l’occasione per sbarazzarsi delle eredità negative del passato. Bisogna, però, essere disposti ad affrontare sacrifici per la costruzione di un bene comune, che nel breve termine può non coincidere con gli interessi personali, ma da cui in futuro anche gli interessi personali potranno trarre giovamento.

Una delle ragioni non tecniche per cui, pur riconoscendone alcuni importanti meriti, sono dubbioso sulle effettive possibilità di riuscita della manovra economica di salvataggio europea delle ultime settimane, è proprio il fatto che, nella cultura moderna, il valore e, a volte, la necessità del sacrificio non sono più riconosciuti. La stessa parola sacrificio è stata depennata dai vocabolari di molti. Non vorrei proprio che tornasse prepotentemente d’attualità e che la maggior parte di noi fosse costretta a sperimentarne la durezza.

Qui nascono i miei timori: la diffusione di certe idee e comportamenti considerati normali potrà un giorno ritorcersi come un boomerang contro di noi?
Genitori che vogliono vivere come quando non avevano figli, e conducono esistenze quasi separate da loro, per non dover rinunciare mai a nulla, quale autorevolezza potranno avere nel momento in cui dovranno provare ad imporre ai figli qualche restrizione non gradita?
Aziende guidate in modo confuso e non sempre trasparente possono davvero meravigliarsi se molti dei loro dipendenti sono demotivati dalla navigazione a vista? E quei lavoratori che sfruttano ogni zona d’ombra per ridurre al minimo il proprio impegno senza farlo notare, possono stupirsi se non ottengono riconoscimenti?
Politici che hanno elevato la furbizia ad arte, che in patria tollerano l’opportunismo e la disonestà dei cittadini in cambio dei loro voti, e che dall’Europa cercano di spremere tutti i vantaggi per il proprio Paese a scapito della realizzazione di una entità unita, efficiente nei suoi processi decisionali, efficace nei risultati delle sue azioni, come possono pensare di godere di una solida credibilità internazionale?

Con queste premesse dal basso, non è difficile spiegarsi il recente indebolimento dell’euro rispetto al dollaro, né immaginare che un’Europa unita e potente sul piano politico ed economico sarà un risultato raggiungibile solo fra anni di lavoro intenso e pianificazione accurata.

Non so se ciò che oggi è considerato socialmente accettabile, o addirittura un valore da difendere, lo sarà anche domani.
Penso però che un futuro collettivamente sostenibile abbia bisogno di maggiori spazi di libertà autentica, da colmare responsabilmente con molti più valori, ben distanti dalla frenetica ricerca di esperienze e beni da consumare “io, qui ed ora”, con poca fatica.

Ci siamo riempiti la vita di bisogni inesistenti, indotti da altri, che hanno fatto aumentare i prezzi di qualunque cosa, rendendo sempre più ampie le divisioni fra chi può soddisfare anche i suoi capricci e chi stenta a vivere una vita dignitosa, svuotando quasi tutto di valore e significato.

Internet è preziosa perché permette una rapida ed estesa circolazione di idee, per chi vuole dialogare e, attraverso un confronto onesto e aperto, provare ad affrontare le sfide, piccole e grandi, delle nostre vite, a superare dubbi e problemi. Ma rischia anche di diventare un circolo vizioso, che amplifica i messaggi negativi, gli egoismi e le debolezze condivisi, rendendoli socialmente accettabili, permettendo di metabolizzarli velocemente, senza provare quel disagio che è preliminare al desiderio di cambiare in meglio.

Dobbiamo stare attenti. Il socialmente accettabile di oggi è veramente ciò che vogliamo dare ai nostri figli? Perché mi pare proprio che, come società, glielo stiamo somministrando in dosi massicce.

lunedì 10 maggio 2010

Unità, scissione e unioni reali

Cominciano le celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia, che si concluderanno l’anno prossimo, e che, stando a quanto riportato da alcuni giornali, dovrebbero costare molti milioni di euro, pagati in parte dalle mie tasse.
Giusto, l’unità d’Italia è un valore da difendere e tutte le iniziative utili allo scopo sono bene accette, anche se spendere un po’ meno non sarebbe una cattiva idea in tempo di crisi.
Però.
A pensarci bene, l’unità d’Italia (concetto assai discusso e oggetto di aspre polemiche fin dal lontano 1861) non deve essere mai stata ricordata da persone qualificate come quest’anno. Infatti, a puro titolo esemplificativo, abbiamo a curriculum, in ordine sparso, i seguenti evidenti casi di scissione:
politici che hanno celebrato il family day, con almeno un matrimonio fallito alle spalle;
un ministro della pubblica istruzione che dichiara placidamente che la scuola pubblica è in crisi e perde iscritti, come se la cosa non la riguardasse minimamente;
un esecutivo in assetto di guerra permanente con il potere giudiziario;
un’opinione pubblica, la classe politica e gli “intellettuali” del nostro paese che raramente perdono occasione per accapigliarsi su feste nazionali e ricorrenze simili, rendendo l’espressione “memoria condivisa” una mera astrazione letteraria;
comunità che si spaccano sotto il peso di una crisi che rende difficile pagare anche i pasti a scuola dei bambini;
un tasso di rottura dei matrimoni cresciuto a livelli irragionevoli e uno di natalità bassissimo, viene da chiedersi se fra 150 anni avrà ancora un senso parlare di unità e di nazione (cosa, quest’ultima, non necessariamente negativa, se riuscissimo a realizzare veramente una società multietnica integrata).
Ma il prezzo che i contribuenti versano per celebrare l’unità d’Italia, non sarebbe stato meglio risparmiarlo o darlo in beneficenza e lasciare un po’ più di spazio a fatti e a gesti che testimonino davvero un desiderio di unità?

La famiglia di note ha appena celebrato l’unità d’Italia con una visita in terra sabauda, addirittura nel castello in cui ha abitato Cavour, a trovare nuovi amici, che l’hanno accolta festosamente, facendole trascorrere una giornata meravigliosa, in cui bambini e adulti si sono conosciuti, si sono piaciuti, hanno parlato e giocato molto. A testimonianza del fatto che il gusto della scoperta, la voglia di incontrarsi e stare insieme, uniscono, di fatto, le persone che lo desiderano, e non ci sono preparativi, distanze, imprevisti, inconvenienti, sole o pioggia che tengano.

domenica 2 maggio 2010

Crisi e morale della favola

“La favola insegna che”: queste parole, familiari a tutti gli ex studenti del ginnasio che, Rocci alla mano, hanno tradotto Esopo dal greco, introducono il finale, la famosa morale della favola.

In questi giorni, il bombardamento di notizie sulla crisi greca, sull’abbassamento dei rating di Portogallo e Spagna, sui timori per l’Italia, il resto d’Europa e l’Euro, è stato intenso, e la quantità di cattiva ed errata informazione tanto grande da indurmi a scrivere un commento sul tema, visto che economia e finanza sono il mio pane quotidiano.

Chi non ricorda la fiaba del Pifferaio di Hamelin, che libera la città dall’invasione dei ratti, conducendoli a gettarsi nelle gelide acque di un fiume al suono del suo flauto? Il finale della storia viene ricordato meno spesso: quando il borgomastro e gli abitanti di Hamelin decidono di non onorare il loro impegno a pagare il pifferaio, questi si mette a suonare e si porta via tutti i bambini della città.
Trascuriamo per un attimo il fatto che il pifferaio, per vendicarsi, desideri togliere agli abitanti ciò che hanno di più caro. Che cosa resta? Che Hamelin, senza i bambini, viene privata del suo futuro.

Lo stesso futuro che oggi si toglie ad una Grecia che dovrà in qualunque caso intraprendere un cammino di disciplina fiscale tremendo e, credo, assai più lungo dei due o tre anni di cui si parla, senza certezza di mantenere la sua finanza pubblica in condizioni di sostenere il debito. Lo ribadisco: Portogallo, Spagna, forse Irlanda e  Italia, potranno attuare misure dolorose. Quelle greche dovranno essere tremende. L’onere politico sarà difficilmente sostenibile e la coesione sociale a rischio.

Per questo, quando sento politici disonesti e incompetenti e giornalisti e commentatori che, come spesso accade, non hanno idea di che cosa scrivano o dicano, accusare banche, grandi investitori e speculatori di questa crisi, mi irrito moltissimo.
Capisco che un capro espiatorio faccia sempre comodo. Capisco che negli ultimi anni siano emersi comportamenti disonesti da parte di attori di primo piano della finanza mondiale, che hanno portato ad eccessi pericolosi dalle gravissime conseguenze e che, giustamente, vanno perseguiti e sanzionati severamente. Le agenzie di rating stanno dimostrando inutilità e conflitti di interesse, e si stanno meritando una cattiva reputazione. Ma con il caso della Grecia, la finanza creativa non c’entra proprio nulla. I politici devono prendersela con se stessi (e magari con chi ha pubblicato bilanci dello stato falsi). E così i giornalisti che non hanno denunciato la cattiva condotta dei potenti di turno.

Gli investitori, che già svolgono un lavoro abbastanza complicato, non devono farsi carico anche di gestire crisi politiche e tensioni sociali. Per loro, comprare obbligazioni tedesche e vendere quelle greche è semplicemente fare bene il proprio lavoro, nell’interesse dei risparmiatori loro clienti, che devono tutelare.
La speculazione fine a se stessa, che quasi mai trovo giustificabile, in questo caso, ha un ruolo secondario e può avere solo accelerato il processo di disvelamento di una realtà sgradevole ma già esistente, che invece i politici hanno avuto tutto l’interesse a celare, provando a rifilare la patata bollente alle generazioni future.
Mutuando l’immagine di un’altra celebre fiaba, I vestiti nuovi dell’imperatore, credo che nessuno si sognerebbe di accusare il bambino che grida che l’imperatore è nudo di aver provocato una destabilizzante crisi istituzionale. O di accusare i turisti che disertino in massa una località di villeggiatura, che col tempo diventa inospitale e mal tenuta, di mandarne in recessione l’economia.

Pensiamoci, prima di permettere a qualcuno di ipotecare il futuro di un intero Paese generando problemi su problemi, di allettare pifferai magici con false promesse (che nuovi debiti coprano i vecchi debiti) sperando che risolvano i guai, e di andarsene tranquillo senza rispondere del male fatto e scaricando le responsabilità sugli altri.
Perché la storia del pifferaio magico appartiene alla tradizione popolare tedesca, e solo in un paio di versioni c’è un lieto fine con il ritorno dei bambini a Hamelin.

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Online dal 10 aprile 2009