L’altro G. è mancato pochi giorni fa. Abbiamo lavorato insieme,
bene, per qualche anno. Anzi, direi che le cose migliori che ho fatto
occupandomi di Italia e non di estero le ho fatte con G., come me, molto
appassionato del nostro lavoro e desideroso di provare a svolgerlo al meglio. Se
l’è portato via una malattia di quelle che, crudeli, colpiscono i giovani e ben
presto purtroppo sai quale potrà essere la
fine della storia, nonostante tutte le energie – e G. ne ha messe in campo
parecchie – per cercare di evitarla.
Non si trovano mai le parole e i modi giusti per commentare
situazioni di questo tipo. È sempre un grande dolore perdere due uomini così
giovani, entusiasti della vita, con il gusto di condividere le loro giornate e
le loro capacità con gli altri, e con il giusto equilibrio che viene dall’avere
principi sani senza essere bigotti o ipocriti e dall’avere voglia di divertirsi
senza essere eccessivi. E comunque, anche quando razionalmente dovremmo essere
pronti alla perdita di una persona cara, il momento di lasciarla non arriva mai
troppo tardi.
Forse il fatto di essere stato amico di entrambi senza avere un
legame troppo stretto mi ha permesso di assorbire questo uno-due micidiale con
grande fatica, ma tutto sommato limitando i danni dal punto di vista emotivo. O
forse (e a me piace pensarlo) la sensazione di avere percorso un tratto di
strada insieme a persone che hanno provato a vivere in modo pieno, positivo e
generoso è una sorta di lascito spontaneo e inconsapevole, un seme gettato da
queste persone, che rimane dentro a coloro che li hanno conosciuti e
apprezzati, da portare con sé e trasmettere, più forte del dispiacere di questo
distacco illogico e prematuro.
Ciao G., ciao G. E grazie per quello che abbiamo fatto insieme.