sabato 26 febbraio 2011

Marketing divino

Sono diventato adulto in Italia, ho vissuto la mia giovinezza negli anni ’80 e ’90, gli anni dell’esplosione della tv commerciale, dei settimanali patinati. Ho ingurgitato con l’imbuto tutto il marketing che mi è stato imposto dai genietti della pubblicità. Sono passato dagli slogan-tormentone, agli spot divertenti, ai jingle accattivanti, che penso facciano parte della cultura pop del nostro paese, ai corpi quasi nudi per pubblicizzare qualunque cosa (e purtroppo penso che anche questi ormai siano parte della cultura pop del nostro paese). Credevo, insomma, di avere visto tutto.
Poi, due giorni fa, ho incontrato questo.
Che cosa si può dire di un manifesto del genere? Prima di tutto, mi immagino il compiacimento di chi ha apposto quella piccola firma in corsivo – Dio – a destra, sotto la scritta. Una trovata che dev’essersi meritata almeno un cinque alto fra i membri del team che l’ha partorita.
Scherzi (si fa per dire) a parte, la considerazione grave è che ormai anche nel nostro Paese, sulla carta laico, si senta il bisogno di pubblicizzare le confessioni religiose in modo sempre più esplicito, come se fossero un bene di consumo qualsiasi, in mezzo ad altri prodotti, pièce teatrali, concerti e candidati alle elezioni.
Che fedi possono essere quelle che hanno bisogno di manifesti e siti internet, volantini e telepredicatori? “Io ti ascolto” sarà una promessa consolatoria, ma non può avere anche un suono vagamente intimidatorio? Una versione aggiornata dell’antico “Dio ti vede”?
Il comprensibile, crescente disagio verso quella che, di fatto, è la nostra religione di Stato ci sta portando a risultati di questo tipo. La scelta sull’allocazione dell’8 per mille e la possibilità di finanziare i gruppi religiosi preferiti esistono già. Ma quando la religione diventa una questione di marketing, di numeri, masse, difesa e conquista di risorse e quote di mercato, semplicemente si svuota del suo contenuto profondo. Lo dico con l’umiltà di quel poco che credo di avere capito al riguardo. Se stratagemma deve essere, meglio, allora, affidarsi a un calcolo, al modo di Pascal: almeno quel ragionamento ha una sua eleganza. Quanto al resto, c’è di buono che nessuno di noi conosce la risposta: neanche questa è un’idea originale, ma almeno è una grande verità. Che a ben pochi, però, interessa pubblicizzare.

lunedì 7 febbraio 2011

Banane

Se in Italia si è instaurato un clima da repubblica delle banane, un motivo ci sarà pure. Non occorre neanche sforzarsi di pensare alle cose importanti per averne un esempio.

La scorsa estate, nella prima metà di luglio, al ritorno da alcuni giorni di vacanza, ho trovato un grande cartello giallo a tutti gli accessi di una delle strade che circondano casa mia, che indicava lavori su un tratto di strada lungo poche centinaia di metri, fra il 19 luglio e il 30 agosto, che avrebbero reso più difficile la viabilità.
Intorno al 10 settembre, con i cantieri ancora aperti, sulla data del 30 agosto è stato incollato un foglio di carta con scritto 30 settembre.
Il foglio di carta è stato spazzato via dalle prime piogge autunnali, ma i cantieri sono rimasti aperti. Così ne è stato appiccicato uno nuovo, a fine settembre. Data di fine lavori prevista: 24 ottobre.
A metà novembre, l’amministrazione comunale si è premurata di informare i residenti, sempre con un foglio di carta e un pennarello, che i lavori si sarebbero conclusi entro il 30 dicembre.
Oggi, rientrando da un fine settimana di sole al mare, ho visto che il termine presunto dei lavori è il 22 febbraio.

Bananas, anyone?

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Online dal 10 aprile 2009