domenica 6 gennaio 2013

Twenty-thirteen

Il 2013 è cominciato. Sarà migliore dello scorso anno? Che cosa cambierà?

Adesso che le vacanze natalizie dei bambini stanno per terminare e la routine scolastica riprenderà, ora che il lavoro è ricominciato già da qualche giorno, con l'anno nuovo che è cominciato come il vecchio è finito (di corsa), posso cogliere qualche segnale che il vento di cambiamento non abbia poi tanta fretta di cominciare a spirare.

La crisi è ancora qui e siamo di nuovo in campagna elettorale, anzi in più campagne elettorali. C'è qualche elemento di novità, ma purtroppo argomenti e, soprattutto, toni di molti contendenti rimangono gli stessi degli ultimi anni. Non mi piacevano per niente e continuano a non piacermi.

Il senso civico del 2013 è sempre il solito. Venerdì mattina, andando al lavoro, ho notato in una via del centro di Milano, resa più stretta dalle grandi impalcature per la ristrutturazione di un vecchio palazzo, una lussuosa macchina sportiva parcheggiata bloccando l'unico varco lasciato libero: lo spazio del portone. Certe cose non sembrano ancora destinate a cambiare.

Ma c'è anche una continuità più buffa e tenera. La piccola Mi, che non è più tanto piccola, ha cominciato a perdere i denti. Il primo e il secondo dentino, a distanza di poche ore, la stessa sera, a inizio gennaio. Un record familiare. E la sera dell'ultimo dell'anno, Re aveva perso un premolare.

E' a questa continuità gradevole che, al termine delle feste, e prima che tutta la famiglia di note si ributti a capofitto nelle attività di tutti i giorni, mi piace pensare.

domenica 11 novembre 2012

Scusi, si deve decidere

Oggi, alla Games Week per accompagnare Si bemolle a un impegno per il progetto a cui sta lavorando e fare il papà permettendo ai bambini di provare il Wonderbook e gli altri videogiochi senza che si perdessero nella bolgia di giovani (e tanti adulti) che affollava la Fiera, mi sono fatto vari giri per i diversi stand.

Playstation, Nintendo, Xbox, avventure di fantasia, giochi di movimento, di strategia e di ruolo: tante attrazioni irresistibili per bambini fra i 7 e i 10 anni, i miei Re e Sol più due amichetti. Già troppo grandi per avere uno spazio riservato, come Mi, ma ancora troppo piccoli per provare molti giochi, come i simulatori di guida più belli.

E poi uno dei traguardi più ambiti… il calcio con Fifa 13. Dopo una lunga, ma veramente lunga attesa, Re e il suo amico T. hanno finalmente impugnato i telecomandi, in mezzo a adolescenti e giovani sbuffanti per dover concedere 15 minuti di gioco a due piccoletti.

L’amore per il calcio non era l’unico elemento di attrazione per i più grandi.
La presenza di due avvenenti standiste che, abbigliate solo dell’intimo, si sono sottoposte a un body painting della maglia dell’Inter e di una maglia tutta rossa, che poi è diventata quella del Milan, non è passata inosservata. Infatti due folti gruppi di giovani in piena tempesta ormonale si sono accodati per farsi scattare foto in quella dolce compagnia da esibire ai compagni di scuola (e per qualcuno ai colleghi di lavoro).

Ora, provate a mettervi nei panni di un trentanovenne che ha passato la giornata a seguire tre bambini, in costante tensione per non perderne nessuno nella folla ed esposto per ore a un tunz-tunz incessante di musica sparata a volume così alto da far vibrare i pavimenti degli stand. Appena i bambini si sono seduti a giocare, mi sono fermato, sui due piedi, alle spalle del loro schermo, con il flusso di giovani che mi scivolava a destra e a sinistra.

A un certo punto, mi si accosta un giovane: statura medio-alta, barba incolta, un po’ di pancia, piercing. Esita un momento e mi dice: “Scusi, sa… si dovrebbe decidere: o fa la fila per la ragazza a sinistra o per quella di destra!”
Rintronato dal rumore e incredulo per essere stato preso per un vecchio allupato, credo di averlo guardato esprimendo un appena percettibile fastidio e, nonostante la mia mente sia stata fulmineamente attraversata da pensieri del tipo “ma renditi conto…”, la risposta che gli ho dato è stata un sarcastico “veramente sono qui per loro due”, indicandogli i bambini seduti sul divanetto a giocare.
Ovviamente il giovanotto non ha colto la sottilissima ironia del mio tono e si è limitato a un sollevato: “ah, be’, allora posso passare io, grazie”.

La settimana prossima, a G come giocare, starò più attento a dove mi parcheggio, vecchio relitto umano che non coglie le cose interessanti della vita.

mercoledì 5 settembre 2012

Musica per un mercoledì sera


Glenn Gould. Variazioni Goldberg: Aria e alcuni canoni.

giovedì 23 agosto 2012

Impromptu o no?

A volte basta una chiacchierata per far guardare le cose con occhi diversi.
Poche settimane fa ho parlato con un caro amico che ha aperto un blog di recente, che mi chiedeva uno scambio di idee su come organizzarlo, come usarlo.
Siccome il mio amico T. e io non riusciamo a vederci spesso, la scusa del blog è stata una piacevole occasione per incontrarci.

Parlando con lui mi sono accorto che la piega presa dal mio blog è stata diversa da quella pensata originariamente.

A cominciare dal titolo, Impromptu, che è proprio sbagliato. Come il sottotitolo "all'improvviso, senza premeditazione, di getto". Eh già, perché se il blog è un po' come una casa on line, ho scoperto di essere uno a cui non piace che la sua casa sia anche minimamente in disordine, se qualcuno può passare a trovarmi (questa è stata una sorpresa anche per me: nel mondo reale sono sicuramente più alla buona).

Quindi posso anche essere rapido nello scrivere, a volte, ma di sicuro ben pochi dei miei post sono stati pubblicati di getto o senza premeditazione. Il vero impromptu sono le idee. Quelle sì nascono in modo spontaneo, frenetico, continuo. Ormai ho cominciato ad appuntarmele in modo sistematico, per provare a svilupparle e a scriverle quando ho un po' di tempo.

Un'altra cosa che si è molto annacquata è l'uso della musica come metafora: a volte funziona bene, a volte male. Di sicuro, l'idea di usare alcuni tipi di composizione musicale come tag esclusive è stata inefficiente e prontamente integrata da tag "normali", più vicine al contenuto dei post.

Tutte cose che si imparano strada facendo, com'è naturale che avvenga.
Comunque, anche adesso che questi pensieri li ho scritti, il titolo non lo cambio: mi piace e mi ci sono affezionato. E poi è ancora sincero, perché quello di cui parlo su questo blog nasce all'improvviso: non c'è un piano editoriale prestabilito o un'area tematica fissa. Però dovrò trovare un altro sottotitolo.
E dovrò cercare di violare meno spesso un'altra regola, che vorrebbe vedere i blogger scrivere con una certa regolarità, anche oggi che l'avvento dei social network ha cambiato l'ecosistema.

Così quest'estate mi ritrovo con i buoni propositi formulati in anticipo sulla fine delle vacanze: che cosa può fare, a volte, una chiacchierata con un amico!

sabato 14 luglio 2012

'O spread

Che cosa capiscono, i bambini, della crisi?
I bambini ragionevolmente fortunati, intendo: quelli cioè che non sono toccati direttamente da un padre o una madre che hanno perso il lavoro o in difficoltà economiche, ma allo stesso tempo quelli che non vivono in situazioni di privilegio nelle quali i sacrifici imposti dalla crisi sono rinunciare alle vacanze in un hotel di lusso in favore di una delle case di vacanze di famiglia o ridurre i turni del personale di servizio.

Negli ultimi mesi, Re e Sol hanno chiesto più di una volta a me e a Si bemolle che cosa sia la crisi, che cosa significhi, che cosa l’abbia provocata, e noi abbiamo provato a spiegarglielo in modo semplice, ma chiaro. È interessante che nessuno dei due abbia chiesto come se ne possa uscire. Forse perché i bambini (quelli ragionevolmente fortunati in particolare) hanno esistenze ordinate, in cui non riescono a combinare guai troppo grossi, e il meccanismo errore-correzione-punizione rimette tutto a posto, in un tempo non troppo lungo, fino al prossimo errore.

Da qualche giorno, però, c’è un elemento nuovo. Re mi aggiorna in tempo reale sull’andamento dell’indice di borsa italiano, dei mercati azionari europei e dello spread tutte le volte che li vede in tv. Così adesso, oltre ad avere i miei strumenti di lavoro che mi mantengono connesso, ho anche un piccolo informatore che si tende quando la borsa scende e si rilassa quando sale. Non ha capito bene perché, ma è più rilassato se la borsa sale. È una situazione buffa, che però ha anche un risvolto più serio.

I bambini negli ultimi anni hanno visto alcuni genitori di loro amici perdere il lavoro, in alcuni casi dover reinventarsi una vita. Spesso i grandi hanno la tendenza a “proteggerli”, edulcorando le cattive notizie, cercando di fare in modo che la loro vita “normale” sia isolata dagli eventi negativi. Anche Si bemolle e io, quando coinvolgiamo i bambini nelle questioni pratiche della vita familiare, proviamo a risparmiare loro gli aspetti che ci sembrano “inutilmente preoccupanti”, che non significa mentire o nascondere le cose, ma provare a spiegarle in modo comprensibile, lineare, in modo che siano consapevoli di quello che succede, senza che nascano in loro timori irrazionali.

D’altra parte mi rendo conto che io, all’età di Re, ero molto più informato di lui su quello che accadeva nella mia famiglia. Sapevo molte cose e sapevo anche che fossero questioni private, da non raccontare in giro. Re, Sol e Mi fortunatamente vivono in un contesto diverso sul piano familiare, ma sicuramente complesso in generale. D’altra parte, il rovescio di questa medaglia è che non credo abbiano un’idea del valore di tante, troppe cose: della loro vita serena, degli oggetti e dei giochi di uso quotidiano, del tempo e dell’energia che le persone che li amano, a cominciare dalla loro madre a tempo pieno, scelgono di dedicare a loro.

Lo spread e le oscillazioni di borsa di oggi, come le domande sui rapporti genitori-figli e sulle separazioni di qualche anno fa, sono solo un modo per segnalare che la realtà trova molte strade per colpire la sensibilità e la fantasia dei bambini ed entrare nelle loro vite. La lezione più semplice da trarre (se mai ci fosse il bisogno di un’ennesima conferma) è che è inutile provare a nascondere loro le cose, perché tanto le scoprono comunque. Quella più difficile è cercare di essere rapidi a interpretare i segnali e non stancarsi di raccontare, spiegare, domandare che cosa li colpisca, perché il modo in cui il mondo di oggi appare a bambini di dieci, sette, cinque anni può essere molto ingannevole. E si fa molta più fatica a togliere dalla testa di qualcuno un’idea sbagliata a distanza di tempo che a provare a correggerla subito.

domenica 15 aprile 2012

Grazie per la partita

A volte la normalità ha qualcosa di eccezionale.

Come accompagnare tuo figlio maggiore alla prima partita del suo primo torneo di calcio.

Come vederlo uscire dagli spogliatoi insieme ai suoi compagni (e una compagna) di squadra, cuccioli in una divisa gialla e blu molto abbondante, il numero 11 sulla schiena che quasi scompare nei calzoncini. Un quadro degno della tua canzone preferita di De Gregori, se non fosse che oggi non c’è alcuna paura, ma solo voglia di divertirsi, e sul campo sintetico in periferia non si alza la polvere se tira vento.

Come vederlo giocare contento insieme ad altri bambini e bambine allegri e rilassati, quando il calcio è ancora un divertimento pulito e solo quello.

Come vederlo attaccante a conquistare spazi e palloni, passarsi la palla con i suoi compagni, giocare per la squadra.

Come vedere insieme agli altri genitori una vittoria in trasferta, tre bei gol, e i bambini che si abbracciano tra loro, con i compagni in panchina e gli allenatori.

Come vedere il tuo Re che esulta dopo averne segnato uno, abbracciato dai suoi compagni, pensando che questa soddisfazione in campo se l’è proprio meritata, che fortunatamente è capace di giocare a calcio molto meglio di suo padre, e che c’è una curiosa coincidenza nel fatto che l’allenatore di Re sia il figlio del tuo allenatore, quando la maglia gialla e blu la indossavi tu.

Come sentirti dire la frase, assolutamente normale, ma che non ti saresti aspettato, forse perché non l’hai mai detta, prima di andare a dormire: “grazie per la partita”.

martedì 27 marzo 2012

Uno-due

Il primo G. è mancato circa un mese fa. Un uomo giovane, allegro e disponibile, con tanti amici e interessi e una vita, anche professionale, fatta di relazioni con gli altri. Un malore improvviso se l’è portato via. Uno shock tremendo per tutti quelli che lo hanno conosciuto e apprezzato.  Di lui conserverò il ricordo di momenti piacevoli passati insieme suonando, e della volta in cui, con un sorriso aperto da bambino felice di mostrare un bel giocattolo nuovo a un amico, mi ha fatto ascoltare l’”arpa potentissima” del suo Korg O-1. E ricorderò la frase celebre “quelli che dicono di suonare per se stessi, è perché non sono capaci”. Infatti, forte della sua esperienza di qualche anno in più e di un gruppo rodato, molto tempo fa mi ha aiutato a muovere i primi passi per suonare in pubblico, per divertimento, insieme ad altre persone, e ad arrangiare un pezzo. In cambio, per così dire, io gli ho spiegato come suonare qualche canzone con la chitarra e gli ho passato qualche idea più “classica” per i riff di piano con la tastiera.
L’altro G. è mancato pochi giorni fa. Abbiamo lavorato insieme, bene, per qualche anno. Anzi, direi che le cose migliori che ho fatto occupandomi di Italia e non di estero le ho fatte con G., come me, molto appassionato del nostro lavoro e desideroso di provare a svolgerlo al meglio. Se l’è portato via una malattia di quelle che, crudeli, colpiscono i giovani e ben presto purtroppo sai quale potrà  essere la fine della storia, nonostante tutte le energie – e G. ne ha messe in campo parecchie – per cercare di evitarla.
Non si trovano mai le parole e i modi giusti per commentare situazioni di questo tipo. È sempre un grande dolore perdere due uomini così giovani, entusiasti della vita, con il gusto di condividere le loro giornate e le loro capacità con gli altri, e con il giusto equilibrio che viene dall’avere principi sani senza essere bigotti o ipocriti e dall’avere voglia di divertirsi senza essere eccessivi. E comunque, anche quando razionalmente dovremmo essere pronti alla perdita di una persona cara, il momento di lasciarla non arriva mai troppo tardi.
Forse il fatto di essere stato amico di entrambi senza avere un legame troppo stretto mi ha permesso di assorbire questo uno-due micidiale con grande fatica, ma tutto sommato limitando i danni dal punto di vista emotivo. O forse (e a me piace pensarlo) la sensazione di avere percorso un tratto di strada insieme a persone che hanno provato a vivere in modo pieno, positivo e generoso è una sorta di lascito spontaneo e inconsapevole, un seme gettato da queste persone, che rimane dentro a coloro che li hanno conosciuti e apprezzati, da portare con sé e trasmettere, più forte del dispiacere di questo distacco illogico e prematuro.
Ciao G., ciao G. E grazie per quello che abbiamo fatto insieme.

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Online dal 10 aprile 2009